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Chi mi conosce sa che sono affetto da una rara patologia: infantilonanismo ipofisario. Una ghiandola grande come un fagiolo, si chiama ipofisi, sin dall'età infantile ha funzionato in modo anomalo, non trasmettendo abbastanza ormoni da farmi sviluppare in pienezza nel fisico.
La classica domanda “PERCHE'?” me la sono posta molto tardivamente, perché le amicizie scolastiche ed in azione cattolica mi hanno sempre aiutato a non farne un dramma.
Il dramma si è presentato quando la scuola è finita ed i miei vecchi amici di associazione hanno preso ognuno la propria strada.
Ho conosciuto il Centro Volontari della Sofferenza e da quel momento tutta la mia esistenza è stata assorbita dalla gioia di vivere e di operare per un ideale profondamente cristiano. Ho capito che le mie sofferenze morali, se unite a quelle di Cristo, hanno un grande valore davanti a Dio.
Tuttavia la domanda "Perché Signore?" me la sono posta più volte e tuttora continuo a farmela. Non so dare risposta e comprendo che essa appartiene a quel grande enigma relativo alla presenza, nella storia umana, del male, del dolore e della morte. Un enigma illuminato solo dalla luce del Calvario. Un enigma al quale Cristo Risorto ha dato un senso profondo, anche se tuttora sfugge l’interpretazione piena di questo mistero. Ma si tratta pur sempre di un mistero di amore.
Dopo la pastorale del dolore si è aperto un nuovo fronte nel mio apostolato cristiano. Per dieci anni, su Radio Zero di Benevento, ho curato un programma radiofonico dedicato agli ammalati.
Dopo dieci anni, nel 1986, a causa della morte di papà, stavo attraversando una delle crisi più difficili della mia vita, e soprattutto della mia vita di fede. Fu in quel periodo che qualcosa, dentro di me, mi smosse: “Perché non parli di Dio per Televisione?”.
Sapevo che, nonostante tutto, madre natura mi aveva dato un dono: la fantasia, la creatività, la sensibilità musicale. Da tempo amavo la cinepresa, così come amavo la buona musica. Sapevo che, mettendo insieme immagini e musica potevo dare un buon messaggio alla gente. Potevo parlare di Dio. Parlare di Dio con gli occhi stupiti di chi guarda a Gesù con occhio di struggente attesa. Parlare di Dio con il cuore di un umile ascoltatore del discorso della montagna, nel quale echeggiano ancora quelle parole che conferiscono un senso profondo all’anima lacerata dal dolore ma alla quale sono stati assicurati l’amore e la beatitudine. Nonostante tutto.
E, col tempo, ho compreso che se il mio messaggio raggiunge il cuore della gente, non è per la mia preparazione o per l’esperienza acquisita in tutti questi anni, che pure mi è stata utile. No. E’ perché quel Cristo che sono chiamato ad annunciare, nel mio piccolo, sia attraverso l’emittente televisiva che attraverso internet e la radio, è lo stesso Cristo che passa per il mio cuore; è lo stesso autentico Cristo della Passione che rivive nella mia vita. Ma è anche lo stesso Cristo Risorto che conferisce un Senso prezioso alla mia vita, fino a rendermi Seme di Speranza per un mondo che sembra voler fare a meno di Lui, ma che ha un disperato bisogno della sua Parola, dei suoi Gesti di salvezza e soprattutto del suo Amore testimoniato nella morte e nella Risurrezione.
Donato Calabrese e la mamma, Concetta Musco Calabrese
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