Auguri, Padre Pio. Auguri, illustre Figlio della Terra del Sannio, che hai voluto darci, con la tua vita, l'insegnamento mirabile di un amore che si consuma per l'amato.
23 SETTEMBRE: LA TUA FESTA
L’innocenza, la semplicità, la purezza, l’umiltà, una straordinaria sensibilità e delicatezza d’animo, l’innocenza, e il candore: questi sono i caratteri nascosti ma intelligibili, della santità di Padre Pio.
Donato Calabrese
Con l’avvicinarsi del 23 settembre, Dies Natalis di Padre Pio, cioè giorno della sua nascita a quel cielo di Dio che Lui ha sempre vagheggiato in tutta la sua vita, il pensiero del popolo cristiano, specie di tutti coloro che si considerano parte della famiglia spirituale del Frate di Pietrelcina, è orientato alla scoperta, o riscoperta, di quei valori inalienabili di umanità e di fede vissuta fino al martirio fisico, morale e spirituale, che il tempo non potrà mai cancellare.
È per questo motivo, e per altri ancora, che il Santo Pontefice Giovanni Paolo II, uno dei più grandi di questi secoli e forse dell’intera cristianità, volle personalmente – grazie anche alla premura dei vescovi di Polonia – accelerare i tempi di beatificazione e canonizzazione, impantanati in una lunga causa nella quale più che la credibilità del Frate stigmatizzato, erano in gioco determinate situazioni, severe ed anche vessatorie, determinate da prelati “zelantissimi” del Santo Ufficio che per decenni avevano assunto un atteggiamento aprioristico e ostentatamente fiscale e severo nei suoi confronti. Ecco perché ci voleva proprio la figura di un grande Papa, santo e profetico, mistico ed attento al fuoco dello Spirito, perché la Chiesa di Cristo elevasse agli onori degli altari quell’uomo di Dio di Pietrelcina che la Chiesa dei Cieli già onorava ed amava come Santo.
Dichiarando finalmente Beato e poi Santo, Padre Pio, rispettivamente il 2 maggio 1999 ed il 16 giugno 2002, il Papa Giovanni Paolo II non ha fatto altro che coniugare la Santità, già proclamata dal Cielo, con quella che tardava a venire sulla Terra. Lui, del resto, lo conosceva già Padre Pio. Lo aveva incontrato, per la prima volta, da giovane sacerdote, nel 1947, confessandosi con lui e riportando una profonda impressione di questo Frate tutto fatto di preghiera e sofferenza. Del resto, il giovane Polacco Karol Wojtyla, ordinato sacerdote l’anno prima a Cracovia, aveva qualcosa di molto profondo e spirituale in comune con il Frate di Pietrelcina: la predilezione per i due grande mistici Carmelitani della Spagna del Siglo de oro: Teresa d’Avila e Giovanni della Croce.
Ma non si fermava, certamente, qui, l’affetto spirituale e la venerazione che il futuro Papa e Santo, nutrì per Padre Pio da Pietrelcina. Ci fu un evento straordinario che rinsaldò ed accentuò la sua intima consapevolezza di trovarsi di fronte ad un uomo profondamente toccato dallo Spirito di Cristo, e corredato da straordinari carismi, ma la cui totale umiltà lo rendeva particolarmente caro al cuore di quel Dio che si fece umile ed ultimo tra gli umili e gli ultimi.
L’evento, nascosto ai più, avvenne nel mese di novembre del 1962, allorché Karol Wojtyla, vicario capitolare di Cracovia, mentre partecipava alla prima sessione del Concilio Vaticano II, venne a sapere che una delle sue collaboratrici, Wanda Poltawska, era gravemente ammalata di un cancro alla gola e doveva affrontare un intervento chirurgico pressoché inutile. Karol Wojtyla si rivolse, quindi, Padre Pio da Pietrelcina, scrivendogli una lettera in latino il 17 novembre 1962, nella quale gli chiedeva di pregare per Wanda Poltawska, descrivendola come “una donna di quarant'anni, madre di quattro figli che, durante la guerra, è stata per quattro anni in campo di concentramento in Germania” e “in pericolo a causa di un cancro”.
“A quello non posso dire di no”, rispose padre Pio ad Angelo Battisti, amministratore della Casa Sollievo della Sofferenza e latore della missiva.
Dieci giorni dopo, a San Giovanni Rotondo, giunse una secnda lettera di Karol Wojtyla: “Venerabile Padre, la donna abitante a Cracovia in Polonia, madre di quattro bambini, ha recuperato all'improvviso la salute il 21 novembre, prima dell'intervento chirurgico. Deo Gratias. E la ringrazio, Venerabile Padre, a nome della donna, del marito e di tutta la famiglia. In Cristo, Karol Wojtyla, vicario capitolare di Cracovia. Roma 28 novembre 1962”.
Il giorno prima dell'operazione, Wanda Poltawska si era ritrovata istantaneamente guarita, tra la meraviglia dei medici che non avevano saputo dare una risposta razionale all’istantanea guarigione.
Da questo grande, ed umanamente inspiegabile, Segno, Karol Wojtyla aveva dedotto che se le volontà degli uomini, e degli uomini che si riconoscono nei responsabili delle Cose che scaturiscono dai sacri Palazzi Romani, sembrano, a volte, dare un determinato corso al destino degli altri uomini provocando loro sofferenze inaudite, il “Dito” della Presenza di Dio, rende giustizia agli umili, ai semplici, “percossi”, da coloro che credono di agire per il bene ed invece percorrono vie diverse ed ispirate, senza saperlo, dal principe del male.
La guarigione di Wanda Poltawska, con la testimonianza diretta di chi l’aveva chiesta, colui che sarebbe divenuto Papa Giovanni Paolo II, è uno di quei segni tangibili che provano, ancora una volta, che dietro ai ricami disordinati della Storia, ed anche di quelli, a volte incomprensibili, della Storia della Chiesa, si nascondono i disegni meravigliosi del Divin Tessitore.
E allora, in occasione di questa Festa attesa ed amata da tutti noi che abbiamo conosciuto ed amato il Frate stigmatizzato di Pietrelcina, cosa possiamo dire che non sia già stato detto e ripetuto in tutti questi anni?
Io direi che più che dire dobbiamo vedere, osservare, mirare, ciò che Dio fa, riconoscendo il suo stile divino, nascosto e discreto, perfettamente riflesso in quello di Padre Pio da Pietrelcina. È questa natura, con la quale Dio opera nella Storia umana, ad essere mirata nella personalità umana e religiosa del nostro Santo. È questo comportamento delicato e non visibile che ci permette di guardare a Padre Pio rimirando le grandi cose che Dio ha operato in Lui. A cominciare dalla sua vita semplice e umanissima, di pastorello, giovane, frate e sacerdote, svoltasi tra Pietrelcina e la contrada di campagna di Piana Romana, dove ha sempre gelosamente custodito nel suo cuore, confidando solo ai direttori spirituali le ricchezze riversate da Gesù nella sua anima mistica.
E poi per proseguire con la sua missione sul Gargano, iniziata con la ripetizione dei doni mistici della trasverberazione e della stigmatizzazione, e poi vissuta semplicemente nella miscela, spiritualmente esplosiva, di una vita tutta plasmata dalla preghiera e condita da quella sofferenza che lo ha reso “uomo dei dolori” ed immagine palpabile del Figlio di Dio Crocifisso.
Anche di fronte alle folle di fedeli e devoti che affluivano, ogni giorno, a San Giovanni Rotondo, Padre Pio era semplice e tranquillo, come se tutta quella gente non salisse per Lui sul Gargano. Infatti, in un giorno del mese di ottobre 1950, dopo l’Angelus, abbandonando il coro delle chiesetta conventuale ed affacciandosi dalla finestrina, più stupito che mai, Padre Pio disse ad un confratello: “Che fa tutta quella gente?”.
“È qui per Lei!”, rispose.
“Poveretti - soggiunse Padre Pio - sapessero quanto sono peccatore”.
Si, è vero. Per tutta la sua vita
Padre Pio si è sempre sentito indegno dei doni ricevuti da Dio. Perfino quando
le sue guide spirituali lo rassicuravano già nella sua Pietrelcina, ma l’idea
di questa sua indegnità era come un grande spina conficcata profondamente e
dolorosamente nel suo cuore.
Commentando questa grande pena, padre Agostino da san Marco in Lamis diceva che per il Signore lo manteneva in umiltà.
Ecco la santità più vera, più autentica, più genuina: quella di pensare a sé stessi come a creature continuamente bisognose di perdono e di amore da parte di Dio.
Per poter cogliere la santità di Padre Pio, non possiamo fermarci all’apparenza, ma dobbiamo mirare innanzitutto ad alcuni elementi peculiari del suo carattere, come la semplicità, l’autenticità, il candore, la purezza di cuore, una straordinaria sensibilità. A tal proposito devo citare quanto disse una volta padre Eusebio Notte, che ha avuto il privilegio di assistere per cinque anni il Frate di Pietrelcina. Racconta padre Eusebio: “Padre Pio volle confessarsi da me. Al mio tentativo di scapparmene (ero giovanissimo), lui cominciò: “Confiteor Dei onnipotenti...”. Fui costretto a fermarmi. Terminata l’accusa dei peccati, accadde qualcosa che mi sconcertò profondamente: Padre Pio scoppiò in un pianto dirotto. Per consolarlo, tentai di dirgli che non era proprio il caso, data l’esiguità delle sue colpe. Allora lui disse: “Figlio mio, tu pure pensi che il peccato sia la trasgressione di una legge. No! Il peccato è il tradimento dell’amore. Cosa ha fatto il Signore per me, e che faccio io per lui?...”.
Padre Alberto D’Apolito offre una viva
testimonianza dei sentimenti castissimi del Frate di Pietrelcina, allorché pone
per iscritto questo pensiero: “La purezza di Padre Pio si rivelò in tutto il
suo candore dai primi anni dell’adolescenza sino al beato transito: nel gesto,
nella compostezza, nella modestia, nella delicatezza del tratto, nella bellezza
del volto, nello splendore degli occhi” .
Gli occhi e lo sguardo profondo di
Padre Pio rivelano la purezza, la castità, la semplicità del suo cuore, come
appare evidente nel seguente episodio: un giorno padre Eusebio Notte lo
accompagna a bagno e, stando fuori dalla cabina, sente che Padre Pio continua a
pregare, recitando il rosario perfino nel bagno.
Meravigliato della cosa, padre Eusebio gli chiede: “Padre, ma sento che prega anche a bagno: non manca di rispetto alla Madonna?” E lui, prontamente: “Ma... a bagno si può peccare?”. “Certo che si può peccare!”, risponde padre Eusebio. “E allora si può anche pregare”, conclude tranquillamente Padre Pio.
L’innocenza, la semplicità, la
purezza, l’umiltà, una straordinaria sensibilità e delicatezza d’animo,
l’innocenza, e il candore: questi sono i caratteri nascosti ma intelligibili,
della santità di Padre Pio.
Mi si consenta, a conclusione di questa nota, di poter esprimere, in poche parole vergate dallo stesso Padre Pio, la sintesi della sua santità tutta fondata sull’amore assoluto verso quel Cristo che
Auguri, Padre Pio. Auguri, illustre Figlio della Terra del Sannio, che hai voluto darci, con la tua vita, l'insegnamento mirabile di un amore che si consuma per l'amato.
Auguri, Padre Pio. Noi, tuoi figli spirituali, vogliamo semplicemente amarti e dimostrarti il nostro amore e la nostra devozione vivendo serenamente, nella gioia e nel dolore, la nostra vita, e divulgando il grande Bene da te compiuto, facendoti divenire Meraviglia del ventesimo secolo.
Una breve, ma significativa intervista, rilasciata da Donato Calabrese, Storico di Padre Pio e Guida Turistico-Spirituale di Pietrelcina e Benevento
"SAN GIOVANNI ROTONDO HA IL CORPO DI PADRE PIO...
MA PIANA ROMANA DI PIETRELCINA, HA IL SUO SPIRITO"
Devo fare una doverosa precisazione: La gente che viene qui, a Piana Romana, tante cose non le sa, né mostra interesse per le cose dello Spirito, ed è forse meglio così: le Grazie celesti bisogna cercarle.... altrimenti, non si trovano. Dio non concede le grazie, o i Doni dello Spirito, a chi viene qui tanto per cambiare aria, o per fare una scampagnata! Gesù stesso ha detto: "Non date le perle ai porci". Dio vuole essere cercato, amato, desiderato...
Storico di Padre Pio, avendo scritto, in tempi diversi, tre libri dedicati
a Padre Pio, oltre a libretti di spiritualità come La via Crucis con Padre Pio e Il Santo Rosario con Padre Pio; nonché guida turistico spirituale di Pietrelcina, Donato Calabrese ha incontrato varie volte il Santo stigmatizzato, accogliendo e facendo sua la spiritualità oblativa del Santo di Pietrelcina.
- Donato, a quanto risale l’intesa e il legame affettivo di Padre Pio con Piana Romana?
- Già prima di nascere, Francesco Forgione (il futuro Padre Pio) respirava l'aria salubre di Piana Romana, giacché la mamma, Giuseppa De Nunzio, ogni giorno dava una mano al marito Grazio, nel lavoro dei campi. Il giorno in cui nacque, i genitori si trovavano a Piana Romana), e appena sentì i dolori che annunciavano il parto, mamma Peppa lo disse al marito, il quale, le disse di avviarsi verso Pietrelcina, mentre lui andava a chiamare la levatrice. Quindi, Padre Pio nasce a Pietrelcina il pomeriggio del 25 maggio 1887.
Dopo alcuni anni, Zi’ Grazio, il papà, si accorge che Francesco, il futuro Padre Pio, sta diventano un ometto. Di conseguenza comincia a portarlo con sé a Piana Romana, per affidargli lo sparuto gregge di famiglia: quattro pecore e una capra.
Dotato di grande sensibilità, delicatezza d’animo, rispetto per il creato nel quale vede il “Dito” della presenza di Dio, Francesco accetta con gioia l’incarico affidatogli dal papà. Si sente più uomo, prezioso per la famiglia, compiaciuto di fare qualcosa per i genitori e soprattutto può cullare, disteso ai piedi di un Olmo nelle lunghe pause sottratte al controllo del gregge, l’aspirazione già intimamente balenata nel suo cuore a cinque anni, di fronte all’apparizione di Gesù.
Due sono i compagni con i quali lega nella contrada: Mercurio Scocca e Luigi Orlando. Con Mercurio, di cui ha quasi la stessa età, Francesco condivide la passione per il presepe. Ogni anno, in prossimità del Natale, i due si mettono a modellare i pastori con l’argilla. Poi preparano i lumicini, riempendo d’olio le chiocciole, dopo aver tolto le lumachine. Infine costruiscono le casette di cartone. Tutto il presepe viene allestito in un angolo della masseria Forgione.
Insieme con Luigi Orlando, che è più piccolo, Francesco si reca più di una volta a portare il gregge al pascolo a Piana Romana, a Santa Barbara ed in altre contrade. E mentre le pecore sfrondano l’erba ed i germogli del campo, essi giocano, saltellano, ridendo e mangiando i fichi e la frutta che abbonda sugli alberi. E, come spesso succede tra ragazzi, fanno anche la lotta, per gioco, per vedere chi è più forte. “Francisco mi vinceva quasi sempre perché era più grande di me - racconterà poi Luigi Orlando -. Una volta, lottando, cademmo e mi inchiodò con le spalle al suolo. Nel tentativo di rovesciarlo e capovolgere la situazione, tutti i miei sforzi furono vani e allora mi sfuggì un’espressione forte. La reazione di Francesco fu immediata: svincolarsi, alzarsi e fuggire fu tutt”uno, perché egli mai, disse cattive parole e non ne voleva sentire; perciò evitava i compagni dall”occhio falso, voglio dire gli scostumati dalla parola facile, gli insinceri, quelli che non erano buoni e bravi ragazzi”.
- Quale percorso faceva Padre Pio per venire qui?
- A piedi, lungo la via del rosario. Poi, col tempo il sentiero è stato valorizzato, anzi direi trasfigurato, per il fatto che col passare degli anni, il giovane Padre Pio lo percorreva pregando e meditando il santo Rosario: una preghiera profondamente contemplativa, e che per tutta la sua vita lo ha accompagnato: a Pietrelcina prima, e a San Giovanni Rotondo, poi.
- Raccontaci cosa è successo all’omba dell’olmo, di cui è rimasto solo il tronco?
- Tornato dal convento perché malato, nella seconda metà del 1909, Fra Pio riprende le vecchie abitudini di sostare sotto l’amato olmo che si trova quasi al centro del suo terreno. Sapendo come amasse questo spazio sacro, i parenti gli costruscono una capanna di paglia addossata all’albero. Lo stesso Padre Pio, dirà in seguito a padre Raffaele da Sant’Elia a Pianisi: “«Nella stagione estiva stavo sempre in campagna a Piana Romana ed i miei, zii e cugini, mi costruirono una capanna o pagliaio ai piedi di quest’albero, anzi poggiata proprio all’albero. È là che io stavo notte e giorno al fresco, per respirare aria pura e salubre. In quella capanna, per me divenuta una vera chiesetta, io facevo tutte le pratiche di pietà, e le mie preghiere notte e giorno».
In quella capanna di paglia che era proprio qui, dove c’è l’olmo custodito dalla cappella delle stigmate, Padre Pio amava pregare, meditare, raccogliersi in silenzio, in meditazione. E qui raggiungeva l’apice della sua contemplazione.
Qui, il 7 settembre del 1910, un mese dopo l’ordinazione sacerdotale, Gesù e Maria gli apparvero proprio qui, donandogli le stigmate della Passione del Signore).
- Dalla capanna di paglia alla cappellina, com’è nata questa chiesetta che custodisce l’olmo e lo spazio sacro valorizzata dalla presenza di Padre Pio?
- Nel 1958, Mercurio Scocca andò a trovare Padre Pio, a San Giovanni Rotondo. E lui gli domando: "L'albero come sta?". Mercurio gli disse che era stato danneggiato da un turbine di vento. A questo punto Padre Pio aggiunge: "Vediamo di coprirlo, l'albero. Perché la sotto ho sofferto molto". Nella sua umiltà, Padre Pio non disse che proprio nella capanna di paglia, addossata all'albero, gli erano apparsi Gesù e Maria Santissima, donandogli le stigmate.
Tornato a casa, Mercurio fa dei sacrifici, e incarica un carpentiere della costruzione della cappella, logicamente dedicata al primo stigmatizzato: san Francesco d'Assisi.
Dopo qualche giorno, Padre Pio gli mandò una somma di denaro, uguale a quella che aveva speso per far costruire la cappella.
- Un’ultima domanda: Quanto è importante Piana Romana, oggi?
- Importantissima. San Giovanni Rotondo ha il corpo di Padre Pio, Piana Romana ha il suo spirito: lo dimostra la semplicità di questa Oasi dell’infinito valorizzata dalla presenza di Padre Pio, e ancora di più dalla contemporanea apparizione di Gesù e di Maria Santissima al Santo di Pietrelcina, il 7 settembre 1910. E lo dimostrano anche le testimonianze di molti fedeli e pellegrini che vengono qui per trovare Dio per mezzo di Padre Pio. Vengono qui e, alcuni sentono anche il caratteristico profumo di rosa o di altri fiori. Lo stesso Papa Francesco, nel 2016, recandosi in pellegrinaggio a San Giovanni Rotondo, fece una sosta di silenziosa preghiera proprio qui: a Piana Romana, e non a Pietrelcina.
Devo fare una doversosa precisazione: La gente che viene qui, a Piana Romana, tante cose non le sa, né mostra interesse per le cose dello Spirito, ed è forse meglio così: le Grazie celesti bisogna cercarle.... altrimenti, non si trovano. Dio non concede le grazie, o i Doni dello Spirito, a chi viene qui tanto per cambiare aria, o per fare una scampagnata! Gesù stesso ha detto: "Non date le perle ai porci". Dio vuole essere cercato, amato, desiderato...
“GEMELLI NON HA VISTO IN NESSUN MODO LE STIGMATE DI PADRE PIO, NÉ HA AVUTO IL TEMPO PER VERIFICARLE”. LO DICE DONATO CALABRESE, BIOGRAFO E STORICO DEL SANTO DI PIETRELCINA
“GEMELLI NON HA VISTO LE STIGMATE DI PADRE PIO”
Padre Pio disse: “Padre Agostino Gemelli è venuto da me accompagnato dalla signorina Armida Barelli. Ho parlato con lui per poco tempo. Ma egli non mi ha mai visitato, non ha neanche visto le stigmate. Affermare il contrario è falso e disonestà scientifica”
Donato Calabrese
Torno a interessarmi dell’articolo pubblicato da don Flavio Peloso sul numero di luglio 2021 del Bollettino dell’Archivio per la Storia del Movimento Sociale Cattolico in Italia, e quindi, successivamente sul quotidiano dei vescovi italiani Avvenire, che ha fatto da cassa di risonanza a una miriade di siti, blog, giornali on line, una miriade di siti, cattolici e non, che hanno fatto copia e incolla, a pappagallo, dico io, alterando la verità e favorendo la diffusione di una narrazione non reale di una storia importante degli anni venti. È quella che vede l’incontro tra Padre Pio e padre Agostino Gemelli.
La mattina del 18 aprile 1920, seguito da Emanuele Brunatto e dal Padre guardiano, Padre Pio si reca in sacrestia, dove incontra Gemelli. La conversazione tra loro due ha la durata di qualche minuto, non di più. A un certo punto il medico passa decisamente allo scopo della sua visita: osservare le “piaghe” del frate. Pur non provvisto di necessaria autorizzazione, esige senza mezzi termini, e sicuramente conforme al suo carattere deciso, di verificare le misteriose ferite: “Padre Pio, sono venuto per un esame clinico delle sue lesioni”. Impassibile, il frate di Pietrelcina gli domanda: “Ha un’autorizzazione...scritta?”. “Scritta no, ma... ”. “In questo caso non sono autorizzato a fargliele vedere”. Pertanto, senza aggiungere una parola, se ne va a celebrare la messa.
Interdetto di fronte a una risposta che sicuramente non si attendeva, Gemelli lo vede allontanarsi, ma fa appena in tempo a esclamare: “Bene, Padre Pio, ne riparleremo”[1]. Dopo qualche ora l’illustre medico francescano lascia definitivamente San Giovanni Rotondo.
Ho già presentato testimonianze autorevoli e sicure che dimostrano concretamente come Gemelli non abbia potuto osservare in nessun modo le stigmate di Padre Pio.
Ora riporto dal voluminoso volume La Vera Storia di PADRE PIO di Enrico Malatesta, la testimonianza di Emanuele Brunatto, presente all’incontro tra Gemelli e Padre Pio. Benché fosse molto importante, non è stata da me citata in precedenza: “Quando alcuni anni dopo furono note le affermazioni, scritte e pubblicate, del Gemelli sul suo “preteso esame” delle Stigmate di Padre Pio, andai a visitarlo nel convento di S. Antonio e gli ricordai che io stesso ero testimone del contrario. In risposta il rettore magnifico mi ammonì sui rischi cui mi esponevo affrontando un avversario della sua taglia. Mi sarei fatto stritolare…!”[2].
A questo punto voglio aggiungere quanto ha scritto l’altro testimone della breve conversazione tra Gemelli e il Frate di Pietrelcina: padre Benedetto da San Marco in Lamis. Sollecitato a lasciare la sua personale testimonianza, padre Benedetto scrisse: “l’incontro “avvenne in sacrestia. Durò pochi minuti. Ero in un angolo lontano ed ebbi l’impressione che il padre Pio lo licenziasse come seccato. Ecco tutto”[3].
Secondo la dichiarazione di padre Mariano Paladino (1926-1995), scritta il 2 dicembre 1983, Padre Pio stesso, negli anni 1956-1960, dichiarò: “Padre Agostino Gemelli è venuto da me accompagnato dalla signorina Armida Barelli. Ho parlato con lui per poco tempo. Ma egli non mi ha mai visitato, non ha neanche visto le stigmate. Affermare il contrario è falso e disonestà scientifica”[4].
C’è un’altra autorevole testimonianza, che come la precedente, è riportata da padre Riccardo Fabiano, nel suo libro La Via di Padre Pio: “Negli anni 1970 padre Giovanni Aurilia da Montemarano (1940), studente all’Antonianum di Roma, dove insegnava padre Roberto Zavalloni, discepolo di padre Gemelli, fu destinatario della seguente risposta di Gemelli a Zavalloni, che confidenzialmente e privatamente gli aveva chiesto della sua posizione sullo stimmatizzato: «Ma che ti voglio dire, io le stimmate non le ho viste». Padre Giovanni Aurilia ha riferito questa frase a me, io la scrivo per voi lettori”[5].
Come si evince dalla massiccia concordanza delle testimonianze, nei pochi minuti dell’incontro con padre Pio, Gemelli non ha potuto assolutamente verificare le cosiddette stigmate. Quindi, appare ben definita la realtà storica dei fatti accaduti nel lontano 1920.
Gemelli non è nuovo in pronunciamenti fatti per tirare acqua al suo mulino. Ma puntualmente le sue asserzioni vengono smentite da altri studiosi. Difatti, in concomitanza con il settimo centenario delle stigmate di San Francesco d’Assisi, Gemelli pubblica su Studi Francescani e Vita e pensiero, un articolo dal titolo: “Le affermazioni della scienza sulle stigmate di San Francesco”. Facendo leva sulla consapevolezza della propria competenza scientifica, Gemelli afferma che “il solo vero stigmatizzato della Chiesa è stato San Francesco, e con le debite riserve, Santa Caterina da Siena. Tutti gli altri «non sono che un prodotto di origine isterica» ”[6]. Chiaro l’intento di demolire la presunta soprannaturalità delle stigmate di Padre Pio.
A tale studio risponde il gesuita padre Gervasio Celi, e dalle pagine dell’autorevole rivista
La Civiltà Cattolica
, definisce “inesatte e imprudenti” le affermazioni di Gemelli, ricordando che dopo Francesco d’Assisi,la Chiesa
ha elevato altri sessanta stigmatizzati agli onori degli altari.L’articolo della rivista dei Gesuiti ne promette un secondo per concludere il discorso. Ma la continuazione non esce in stampa. Qualcuno ha pensato, e non a torto, che scottato dalla prima puntata, padre Gemelli si sia dato da fare per fermare la seconda[7].
Vent’anni dopo, attaccato dal gesuita padre Cirillo Martindale[8], Gemelli si difenderà con queste parole: “Io ho esaminato accuratamente padre Pio e le sue stimmate. Durante questo esame era presente il padre provinciale”[9]. Ma, come si evince dalla testimonianza scritta di padre Benedetto, e da quella di Brunatto, nei pochi minuti dell’incontro con padre Pio, Gemelli non ha potuto assolutamente verificare le lesioni di Padre Pio.
Sommando, poi, ciò che lo stesso Gemelli disse confidenzialmente a padre Zavalloni (Ma che ti voglio dire, io le stimmate non le ho viste!”), affermare che Gemelli abbia visitato ed esaminato le stigmate di Padre Pio significa solo “arrampicarsi sugli specchi”. La storia è una cosa, e la fantasia è un’altra cosa. Non vi può essere alcuna correlazione tra storia e fantasia, a meno che non entrano in gioco altri fattori. In tal caso io mi fermo solo alla realtà delle cose, e non vado oltre, nella speranza che in quell’«oltre» ci sia lo spazio per quello Spirito che è l’anima vitale della Chiesa di Cristo.
In chiusura di questo mio scritto, torno al quotidiano Avvenire che, nell’articolo scritto da don Flavio Peloso, afferma che «Padre Gemelli non fu un “bugiardo”: vide davvero le stimmate di padre Pio». Questa, sarebbe la «novità ora emersa», consistente in «una dettagliata relazione al Sant’Uffizio datata 6 aprile 1926.
Su questa terza relazione, scritta da Gemelli, si sofferma Angelo Mischitelli, autore del libro Padre Pio, un uomo un santo. Secondo lui, in questa relazione c’è un punto in cui (Gemelli) concorda con le testimonianze dei frati ed è ciò che “inficia tutto il testo, ossia il P. Gemelli fa riferimento al segretario del vescovo di Foggia, che viene citato per nome e cognome dai frati come componente della comitiva della prima visita: da ciò si deduce che la visita sia stata una sola, quella effettuata il 18 aprile 1920.
E allora – continua Mischitelli – il padre Gemelli ne esce non ridimensionato, ma addirittura distrutto nella onestà intellettuale e serietà scientifica: afferma esplicitamente il falso , usa materiale non suo per descrivere le piaghe di Padre Pio.
La sua difesa, o, meglio, la sua terza relazione, quindi, risulta fasulla”[10].
Questo articolo raccoglie testimonianze che integrano e completano quelle da me inserite negli articoli precedenti, e dimostra, ancora una volta, che padre Gemelli non ha visto in nessun modo le stigmate di Padre Pio, né ha avuto il tempo di verificarle.
[1] Testimonianza pubblicata, con altre che la confermano, in G. Pagnossin, Il Calvario di Padre Pio, t. I, pp. 203 ss. in Yves Chiron, Padre Pio, una strada di misericordia, Ed. Paoline Milano, 1997, 152.
[2] Enrico Malatesta, La Vera Storia di Padre Pio, Edizioni PIEMME Casale Monferrato (AL), I Edizione 1999, 169s..
[3] Padre Benedetto da San Marco in Lamis, Lettera a padre Luigi d’Avellino, 16 luglio
1932, in
Fernando Da Riese Pio X, Padre Pio da Pietrelcina, Edizioni Padre Pio da Pietrelcina, San Giovanni Rotondo, 1996, 161.
[4] Riccardo Fabiano, La Via di Padre Pio, Edizioni Padre Pio da Pietrelcina, San Giovanni Rotondo, 2013, 216.
[5] Riccardo Fabiano, La Via di Padre Pio, Edizioni Padre Pio da Pietrelcina, San Giovanni Rotondo, 2013, 218-219.
[6] Renzo Allegri, A Tu per Tu con Padre Pio, Arnoldo Mondadori Editore, III edizione, dicembre 1995, 109.
[7] Cfr. Alessandro Pronzato, Padre Pio un Santo scomodo, Gribaudi, seconda edizione settembre 2002, 48.
[8] Sulla rivista Month di Londra aveva accreditato le stimmate di Padre Pio (Padre Pio da Pietrelcina, in The Month, vol 7, 1952, n.6, pp.348-357 [particolarmente le pp.352 s.]),
[9] Agostino Gemelli, Lettera a padre Martindale, in Fernando Da Riese Pio X, Padre Pio da Pietrelcina, Edizioni Padre Pio da Pietrelcina, San Giovanni Rotondo, 1996, 161-162.
[10] Angelo Maria Mischitelli, Padre Pio un uomo un santo, Leone editrice, Foggia, 2002, 221.
Ecco il vero volto di Padre Pio da Pietrelcina. Ce lo rivela Donato Calabrese, biografo del Santo e appassionato di spiritualità e di mistica cristiana
IL MIO LIBRO: PADRE PIO
“Sono un Mistero a me stesso”
“Credo di essere partito da un’ispirazione, un desiderio profondo, di portare alla luce il vero volto, la dimensione spirituale e mistica, la purezza di cuore, e il candore di Padre Pio da Pietrelcina, recuperandone l’autentico afflato spirituale, mistico, e oblativo, per porgerlo con tutta la variegata bellezza e ricchezza della sua anima e dei suoi carismi, a ogni uomo che cerca la verità di Dio rivelato in Gesù Cristo e presente “quasi in trasparenza” nelle cose straordinarie avvenute sul Gargano nei 52 anni ivi trascorsi da Padre Pio da Pietrelcina”.
Donato Calabrese
Donato Calabrese, hai voluto scrivere questo lavoro (206 pagine) che è il seguito del precedente: Padre Pio Sette anni di mistero a Pietrelcina, edito dalle Paoline. Cosa può averti mosso a scrivere questo nuovo libro su Padre Pio da Pietrelcina?
Credo di essere partito da un’ispirazione, nel senso che non potevo non notare, in tutti questi anni, quanto fosse stata deformata l’immagine di Padre Pio dai mezzi di comunicazione sociale. Si parla di lui sempre in modo sbagliato, perché Padre Pio fa sempre notizia, anche quando si dicono cose inesatte, e a volte ingiuste, sul suo conto. Quindi credo di essere partito da un’ispirazione, un desiderio profondo, di portare alla luce il vero volto, la dimensione spirituale e mistica, la purezza di cuore, e il candore di Padre Pio da Pietrelcina, recuperandone l’autentico afflato spirituale, mistico, e oblativo, per porgerlo con tutta la variegata bellezza e ricchezza della sua anima e dei suoi carismi, a ogni uomo che cerca la verità di Dio rivelato in Gesù Cristo e presente “quasi in trasparenza” nelle cose straordinarie avvenute sul Gargano nei 52 anni ivi trascorsi da Padre Pio da Pietrelcina.
- Nella sua stesura definitiva, il libro appare formato da 206 pagine. Sono molte o sono poche per un personaggio come Padre Pio?
La bozza originale superava le 480 pagine. Un po' troppe, anche se Padre Pio meritava molto di più. Allora ho pensato di offrire ai lettori un’opera divulgativa, accessibile a tutti, perché ogni uomo di buona volontà possa scoprire la Presenza di Dio in un secolo buio, come quello trascorso. Quindi, ho cercato innanzitutto di far emergere l’autentico volto di Padre Pio, con la Sua genuina personalità umana, religiosa e mistica, non tralasciando un aspetto abbastanza trascurato nelle biografie, ma che appartiene tipicamente al suo carattere più autentico: le radici sannitiche e cristiane armoniosamente fuse in uno dei fiori più belli e profumati della creazione. Ho voluto prendere in esame colui che può essere considerato l’alpinista, o meglio ancora, il sestogradista delle grandi vette dell’ascesi e della mistica cristiana, il martire di Dio che all’abbondanza di doni divini ricevuti, ha risposto con il suo nudo patire e il nudo amare, l’Alter Christus trasverberato e stigmatizzato, e quindi l’anima riparatrice, l’uomo di Dio contrassegnato da una grande varietà di carismi che ha messo sempre disposizione delle anime, e appunto l’apostolo del confessionale. E poi, il taumaturgo per mezzo del quale Dio ha operato eventi sensazionali, grazie senza numero, e miracoli strepitosi sul Gargano e nel mondo.
- Hai parlato di martire di Dio. In che termini hai considerato le grandi prove vissute da Padre Pio negli anni venti e trenta, e poi ripetute nel decennio precedente la sua morte?
- Quelle che ho chiamato persecuzioni appartengono a due tempi molto importanti della vita di Padre Pio sul Gargano. Io sono un umile figlio della Chiesa Cattolica, ma non posso chiudere gli occhi davanti all'evidenza della verità storica. Per tutta la sua esistenza Padre Pio non ha sofferto solo vessazioni diaboliche, malattie e infermità, ma anche calunnie, percosse morali, e umiliazioni da parte di prelati, religiosi, e finanche qualche vescovo. Alcuni di essi operavano per conto di quelle istituzioni ecclesiali che lui tanto amava dicendo: “La Chiesa è Madre, anche quando percuote”. Quindi, per rispetto della verità storica bisogna dirle queste cose. Scorrendo i nomi di coloro che gli hanno fatto del male, il lettore non può non provare sorpresa, se non sconcerto, trattandosi di figure eminenti della Chiesa Cattolica del tempo in cui le vicende sono avvenute. È una storia che coinvolge in negativo vari sacerdoti, religiosi, e finanche vescovi. I primi furono padre Agostino Gemelli, il vescovo Pasquale Gagliardi, alcuni canonici regolari di San Giovanni Rotondo. E, dopo qualche decennio, il vescovo di Padova Girolamo Bortignon, don Umberto Terenzi di Roma, il Visitatore apostolico mons. Maccari, e tanti altri. Ma questi non sono i protagonisti assoluti degli attacchi che convergevano su Padre Pio. Senza esserne pienamente consapevoli e per vie diverse, sono stati assoggettati al protagonista assoluto di tutta la storia terribile che rientra nel mistero del Frate stigmatizzato di Pietrelcina. Sembra anacronistico e fuori luogo ciò che sto per dire, ma in questi casi il protagonista assoluto di quelle che vanno considerate come persecuzioni è stato un altro: Satana. Occorre una fede semplice e robusta, corroborata da una visione teologica della Storia del secolo appena trascorso per comprendere che se da una parte le sofferenze inaudite di Padre Pio erano volute da Dio per renderlo in tutto simile al Cristo Crocifisso e quindi partecipe come protagonista di primo piano nel “supremo negozio” della redenzione umana, dall’altra parte Satana ha orchestrato un piano di estrema scaltrezza ed ingegnosità, servendosi persino di chi opera nel bene ed a fin di bene per cercare di abbattere questo sacerdote “Altro Cristo”. Era troppo pernicioso, per l’angelo ribelle, il ministero sacerdotale di Padre Pio. A San Giovanni Rotondo si è ripetuto per oltre cinquant'anni il terribile scontro tra il bene ed il male, avvenuto qualche secolo prima ad Ars, dove un umile e povero curato di campagna conduceva la sua efficientissima battaglia contro il male riconciliando con il Dio della misericordia frotte e frotte di peccatori che da tutta la Francia andavano da lui. Era San Giovanni Battista Maria Vianney, meglio conosciuto come il Santo Curato d'Ars. Un nemico implacabile di Satana e del male, e per questo continuamente vessato da lui. Proprio come avverrà qualche secolo dopo con il Santo cappuccino di Pietrelcina. Satana scatenerà tutta la sua diabolica intelligenza contro di Lui, perché colpevole solo di essere un’umile e icàstico strumento dell’amore e della misericordia di Dio. Ma tutto rientra nel mistero di Padre Pio. Lui fa esperienza nuda e cruda della terribile lotta tra bene e male, tra Dio e Satana, tra le attese nascenti di un popolo cristiano che in lui riscopre il mistero d’amore del Creatore che vuole dare al mondo un segno forte e tangibile della sua Presenza, e l’azione dello spirito del male nel secolo degli errori e degli orrori. E Padre Pio da Pietrelcina è stato proprio al centro di questo campo di battaglia tra Dio e il male, tra la luce e le tenebre, tra il Redentore e il tentatore dell’essere umano. Una lotta che ha visto Padre Pio protagonista assoluto, come gli aveva anticipato Cristo in visione, prima di partire, a sedici anni, per il convento di Morcone, dove avrebbe iniziato la vita religiosa cappuccina. Ecco la chiave per interpretare il mistero che ha avvolto Padre Pio per tutto il tempo della missione. Un mistero di dolore e di amore, nel quale si è trovato pienamente coinvolto perché come “un maccherone senza sale”, ha donato tutto sé stesso, offrendosi vittima d’amore e di dolore, a quel Gesù che gli aveva anticipato già a Pietrelcina la sua vocazione oblativa: “Figlio mio, l’amore si conosce nel dolore, lo sentirai acuto nello spirito, e più acuto ancora lo sentirai nel corpo”. Confidando di essere un mistero a sé stesso, nei primi anni della sua missione sacerdotale, Padre Pio aveva dischiuso la porta del suo cuore consacrato ed indiviso, integralmente proiettato verso Cristo Gesù, Sommo Diletto della sua anima. La luce che promanava dall’uscio appena socchiuso lasciava intravedere un barlume di speranza e di bene che si è irradiato mirabilmente sul mondo intero.
- Come ti poni di fronte agli altri autori che si sono cimentati con la vita di Padre Pio?
Ho un grande rispetto per tutti gli autori che ho citato nel mio libro, e specialmente per Yves Chiron che ha analizzato profondamente i periodi più tormentati della vita di Padre Pio. Ma io credo che per due motivi essenziali, il mio libro vada diritto al cuore del mistero di Padre Pio. Innanzitutto perché io sono un Sannita come lui, e prima di scrivere mi sono imbevuto profondamente del suo habitat natio, sentendomi molto legato a Pietrelcina, e soprattutto, a Piana Romana. Poi ci sono due particolari della vita di Padre Pio che io credo di poter tratteggiare fedelmente più di tutti i biografi: la sua spiritualità della croce, e l'essere quasi "come un bambino". Per quanto riguarda la prima, voglio ricordare che io sono un uomo del patire e per quasi 40 anni ho fatto parte di un movimento cristiano di valorizzazione della sofferenza, come il Centro Volontari della Sofferenza, fondato dal beato mons. Luigi Novarese. Quindi ho sentito come mia la scelta oblativa del nostro Santo, trovando connaturale con lui la mia vocazione all'amore verso Dio per mezzo della croce. Una vocazione altissima, ma difficile da vivere. Io fisicamente, e anche sotto alcuni aspetti psicologici ed emotivi, sono come un ragazzo (La mia malattia si chiama infantilonanismo ipofisario) e solo le rughe tradiscono la mia vera età. Quindi, nessuno poteva inquadrare più di me un elemento poco conosciuto della personalità di Padre Pio: la semplicità, il candore, l'innocenza, l'orrore del peccato, tanto che padre Agostino arrivava a dire di lui: "Sembra quasi un bambino". Ed è questo carattere istintivo e puro, semplice e genuino, a tratti infantile e candido, insieme con la sua risposta generosa a Dio, nel dolore, che ha trasformato Padre Pio da Pietrelcina in uno dei Santi più straordinari e amati della Cristianità.
- Che spazio dedichi alle stigmate, nel tuo libro?
- Molto spazio. Sulle stigmate di Padre Pio si parla molto e incautamente, dimostrando una certa superficialità di giudizio. Dal profumo che emanavano e da come fossero scomparse senza lasciare alcuna cicatrice, con la morte di Padre Pio, emerge una realtà già dimostrata a suo tempo dal dott. Giorgio Festa: le stigmate sono di origine soprannaturale.
- Padre Pio ha operato tantissimi miracoli. Ne parli nel tuo libro?
- Sicuro. Perciò io presento Padre Pio come un Segno di speranza e di fede nella Presenza di Dio, nel secolo più buio della nostra storia. Due terribili guerre, i genocidi degli armeni e degli ebrei, le bombe atomiche di Hiroshim e Nakasaki, gli opposti ateismi nazisti e comunisti che hanno fatto soffrire e morire milioni di esseri umani. C’era il rischio di chiedersi: “Dov’era Dio”. Dio ha operato miracoli straordinari per mezzo di Padre Pio. Miracoli di guarigione inspiegabili secondo la ragione. Ne cito solo alcuni di quelli raccontati nel mio libro: la guarigione di Pasquale Di Chiara, di 36 anni, cancelliere della pretura di San Giovanni Rotondo. Quella di Pasquale Urbano di 62 anni, di Foggia. Una delle guarigioni più straordinarie è stata sicuramente quella di Francesco Vicio di 75 anni. Piccolo e deforme, si muoveva carponi, con il mento quasi a terra. Un giorno Padre Pio gli disse: “Alzati e cammina!”. Si alzò e da allora camminò eretto. La contemporanea bilocazione e guarigione di suor Teresa Salvadores, avvenuta nel lontano Uruguay. La religiosa soffriva di un cancro allo stomaco. E, per venire all’ultimo decennio della sua vita, quella di Wanda Poltawska, istantaneamente guarita da un cancro alla gola. Questi sono i casi di guarigione impossibile da spiegare da parte della scienza medica. Eppoi ci sono le bilocazioni, il profumo, le apparizioni soprannaturali, la preveggenza: Padre Pio già sapeva, per esempio, come sarebbe terminata la seconda guerra mondiale. E poi tante, tante meraviglie operate da Dio per mezzo dell’umile frate di Pietrelcina.
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