Dal culto pagano di Iside a quello cristiano della Madonna delle Grazie
MIRANDO LA MADONNA DELLE GRAZIE, SI RICONOSCE
LA MADONNA ODIGITRIA, DIPINTA DA SAN LUCA
Non vi può essere confronto tra il mito e la storia, tra la leggenda di Iside e la Storia vera di Gesù Cristo, figlio di Maria di Nazaret, nato nel mondo al culmine di un lungo percorso Biblico compiuto da Dio insieme col suo popolo Israele. E allora si comprende che, sebbene ci fossero delle analogie tra il mito di Iside e la Storia vera di Maria, madre di Gesù, non vi poteva essere alcuna competizione tra il mito e la Storia, soprattutto quando la vita reale di Gesù, Figlio di Maria, è stata interamente segnata dalla testimonianza degli apostoli che hanno vissuto con Lui e hanno affrontato il martirio per testimoniare la loro coerenza con quanto hanno annunciato.
Donato Calabrese
Guida turistico-religiosa patentata della Regione Campania
Nel precedente scritto ho avuto modo di dire che il passaggio dal paganesimo al cristianesimo, è avvenuto gradualmente, nei primi secoli dell’era cristiana, valorizzando anche i punti di aggancio tra il culto pagano (quello di Iside in particolare) e quello cristiano, visto che la figura simbolica di Iside e di Horus ha delle affinità con Maria di Nazaret e suo figlio Gesù.
Tali attinenze appaiono chiaramente nell’arte figurativa. Infatti, l’immagine più conosciuta di Iside, almeno per me, è quella che la raffigura nella classica posa: la dea seduta offre il proprio seno al piccolo Horus per allattarlo.
Con l’avvento del Cristianesimo, gli antichi simboli pagani vennero lentamente e gradualmente sostituiti da quelli cristiani, e, come a Roma, la capitale dell’impero, gli antichi simboli erano riutilizzati per indicare il nuovo culto, lo stesso è avvenuto a Benevento e in tutto il mondo allora conosciuto, per cui l’immagine di Maria santissima che offre il latte al Bambino Gesù, prende progressivamente il posto della Dea Iside che allatta il piccolo Horus. Questo avviene perché il ruolo di Iside nel modello storico egiziano e la storia della Vergine Maria sono sorprendentemente simili: Sia Iside che Maria sono in grado di concepire senza contributo d’uomo. Iside concepisce Horus, mentre Maria concepisce Gesù. Perciò Iside è chiamata la gran Madre, un titolo che è riportato sullo stesso obelisco egizio di piazza Papiniano, dove è scritto: “La grande Iside, madre di dio, Sochis, signora delle stelle e signora del cielo, della terra e del mondo sotterraneo”.
Anche Maria è chiamata la gran Madre, e poiché Cristo è vero Dio, se Maria è sua madre, è facile attribuirle il titolo di Madre di Dio. Difatti, sin dal III secolo è chiamata Theotòkos, la Santa Genitrice di Dio. Anzi, soprattutto dopo il Concilio di Efeso, il culto alla Madre di Dio si diffuse in tutto il mondo.
Attenzione, però, perché c’era e c’è una differenza abissale tra la dea Iside e Maria Santissima. Come ho già affermato in precedenza, si passa dal piano simbolico a quello storico, visto che con Iside ci troviamo di fronte a un mito, mentre Maria è una figura storica, e quindi realmente esistita.
Non vi può essere confronto tra il mito e la storia, tra la leggenda di Iside e la Storia vera di Gesù Cristo, figlio di Maria di Nazaret, nato nel mondo al culmine di un lungo percorso Biblico compiuto da Dio insieme col suo popolo Israele.
E allora si comprende che, sebbene ci fossero delle analogie tra il mito di Iside e la Storia vera di Maria, madre di Gesù, non vi poteva essere alcuna competizione tra il mito e la Storia, soprattutto quando la vita reale di Gesù, Figlio di Maria, è stata interamente segnata dalla testimonianza degli apostoli che hanno vissuto con Lui e hanno affrontato il martirio per testimoniare la loro coerenza con quanto hanno annunciato.
Anche a Benevento ci sono delle prove evidenti del passaggio di culto dalla dea Iside a Maria Santissima, e una delle più evidenti la troviamo nei tanti affreschi mariani della Madonna del latte o della Madonna delle Grazie. Ed è proprio a quest’ultima è dedicato il mio scritto. In tal caso non posso non parlare di santa Artelaide vergine, morta giovanissima nella nostra città intorno all’anno 570. Di questa fanciulla di Costantinopoli (poi Bisanzio: l’odierna Istambul), si era invaghito l’imperatore Giustiniano, già sposato con Teodora. Per sottrarla alle mire dell’imperatore, il papà la invia in Italia presso suo fratello Narsete, governatore bizantino.
Appena giunge a Benevento, la giovane Artelaide si reca a piedi nudi nella chiesa di Santa Maria (l’odierna cattedrale), per onorare la Madonna, il cui culto, come si può comprendere, è già presente nel Sannio. Artelaide viene ospitata nella sede del Governatorato. Ma i suoi esercizi di pietà cristiana richiedono ben altra discrezione. Allora lo zio Narsete le permette di trasferirsi in un’altra casa, poco lontana dalla porta chiamata Rufina, presso la chiesa di San Luca. Qui, la beata Artelaide vive una profonda vita cristiana, alimentata con preghiere e digiuni, e coltivando un filiale e devotissimo amore a Maria santissima, esponendo al culto dei fedeli un’immagine della Madonna, portata da Costantinopoli-Bisanzio, e a lei tanto cara.
Molti si chiedono se l’immagine esposta da santa Artelaide nella chiesetta di san Luca fosse un’icona o una statua. Io credo che si trattasse di un’icona, perché nei primi secoli dell’era cristiana, in modo particolare nella metà del V secolo, a Costantinopoli-Bisanzio era molto amata e venerata l’icona della Madonna Odigitria, che la tradizione bizantina fa risalire ad un dipinto originale di san Luca evangelista. Secondo la leggenda, la Madre di Dio avrebbe benedetto il suo ritratto dicendo: “la mia benedizione riposerà per sempre su questa icona”. San Luca l’avrebbe inviata ad Antiochia, all’«illustre Teofilo», insieme con il testo del suo Vangelo. Poi, verso la metà del V secolo, l’imperatrice Eudossia (422 - +493) avrebbe fatto venire questa icona a Costantinopoli per offrirla a sua cognata Pulcheria. Questa tradizione era generalmente accettata a Bisanzio verso il IX secolo, quando il nome di Odigitria apparve per la prima volta.
Non sappiamo se questo nome venga dalla chiesa dei «Comandanti», da cui deriverebbe il nome, e nella quale gli imperatori erano soliti pregare prima di lasciare la città alla testa dei loro eserciti, o se invece è l’icona della Madre di Dio «che guida» ad aver prestato il proprio nome alla chiesa ricostruita da Michele III (842-867).
Secondo un’altra versione, il nome Odigitria proviene dal santuario mariano di Costantinopoli dove l’immagine era custodita, quello detto «degli odigoi». o delle guide, dal nome dei monaci custodi del santuario che facevano da guide ai frequentatori del santuario, in maggioranza ciechi, venuti a chiedere la guarigione alla Madonna. Col tempo il nome fu dato alla stessa Madre di Dio e alla sua icona che, usato nella forma femminile di «Odigitria», le divenne un nome proprio.
Ciò che aggiungeva lustro all’immagine era la sua fama di essere un ritratto fatto dal vivo a Gerusalemme dall’evangelista Luca mentre la Madonna era ancora in vita. In ogni caso già in quest’epoca si attribuiva a questa icona miracolosa un ruolo particolare nel destino dell’impero cristiano, tanto è vero che era considerata il Palladio di Costantinopoli-Bisanzio. Questo contribuì all’elaborazione del tipo iconografico, essenzialmente bizantino, che dovette essere fissato definitivamente nel IX secolo e ricevere il nome di Odigitria, cioè Colei che indica la Via. E la via è una sola: Cristo, come appare bene evidente nella stessa icona: “La Madre di Dio assisa, in posizione eretta, mentre tiene il Bambino in fasce semisdraiato sul suo braccio sinistro. Nella concezione bizantina questa immagine si è trasformata. Nelle icone dell’Odigitria dipinte a Bisanzio il Bimbo Gesù è sempre raffigurato seduto, ben dritto sul braccio sinistro della madre. Non si tratta più di un neonato, ma del tipo del Cristo-Emmanuele, Infante e «Dio fin da prima del tempo», colmo di saggezza malgrado la sua giovane età. Vestito di un manto brillante tessuto d’oro, il Cristo-Emmanuele tiene nella mano sinistra un rotolo, mentre con la destra benedice, fissando lo spettatore dritto davanti a sé. La Madre di Dio, seduta in trono in posizione eretta e maestosa, non mostra alcuna intimità con il Figlio. Ella guarda lo spettatore, o piuttosto il suo sguardo è rivolto di lato, sopra la testa dell’Emmanuele. La mano destra dell’Odigitria, alzata verso il petto, potrebbe alludere ad un gesto di preghiera; ma si può dire piuttosto che Ella presenti agli uomini il Figlio di Dio che, per mezzo di lei, è venuto al mondo. Si può aggiungere che è la Regina che presenta suo Figlio al popolo dei fedeli, mentre il Cristo-Emmanuele compie in risposta un largo e maestoso cenno di benedizione”.
Mirando, oggi, la statua della Madonna delle Grazie di Benevento, non possiamo non riconoscere delle importanti analogie con il tipo della celebre icona mariana dell’Odigitria: cosa che confermerebbe, a mio parere, l’affermazione che quella che santa Artelaide espose al culto, fosse appunto un icona di Maria Santissima. Infatti, quando Giovanni Merliano da Nola scolpì l’attuale statua della Madonna delle Grazie, aveva, forse, davanti a sé, l’icona Odigitria venerata da Santa Artelaide e portata, con sé, da Costantinopoli a Benevento. Anche se, come detto prima, gli storici non sono d’accordo sul tipo di immagine esposta da santa Artelaide nella chiesetta di San Luca, in pieno centro storico (ahimé buttata giù qualche anno fa), lo stesso nome della chiesetta la dice lunga sul fatto che potesse essere una copia dell’icona Odigitria di Costantinopoli ad essere portata, a Benevento da Santa Artelaide, visto che l’icona originale era attribuita a San Luca.
Guardando, la statua della Madonna delle Grazie, noi crediamo di riconoscere delle affinità con una classica icona della Madonna Odigitria: quella di Santa Maria del Popolo a Roma o Santa Maria Patrona di Sicilia.
Partiamo da alcuni elementi essenziali, come la Madre di Dio assisa, in posizione eretta, con il Bambino Gesù raffigurato seduto, ben dritto sul braccio sinistro della madre. La stessa posizione che Gesù Bambino ha nella “Madonna delle Grazie” di Benevento. La differenza consiste nel fatto che il Bambino Gesù di Benevento è praticamente nudo, contrariamente al Bambino dell’Odigitria, raffigurato sull’icona dell'Odigitria. In tale icona, peraltro, il bambino Gesù non appare come un neonato, ma è del tipo del Cristo-Emmanuele: il volto di adulto.
Nell’icona Odigitria di Santa Maria del Popolo a Roma, la Madonna veste il maforio, o mantello, proprio come la Madonna delle Grazie, mentre Gesù Bambino veste chiton, o tunica, o imation.
Nel tipo iconografico dell’Odigitria, il Bambino Gesù abbozza un gesto di benedizione alla greca, come pegno di preghiera accolta e di grazia accordata. Similmente nella Madonna delle Grazie di Benevento vediamo il Bambino Gesù con la mano alzata e le tre dita, pollice, indice e medio, che indicano pure la benedizione alla greca. Infatti, ancora oggi i sacerdoti ortodossi tengono riuniti l’indice e il medio, come il Bambino Gesù, per indicare l’unione in Cristo delle due nature: umana e divina.
Anche l’atteggiamento della Madre e del Bambino, come vediamo ora, mostra interessanti analogie tra il tipo iconografico dell’Odigitria ed il simulacro di Maria Santissima delle Grazie. Nel primo la Madonna regge il Bambino sul braccio sinistro e lo indica con la mano destra leggermente rialzata, come per dire: è lui la via. Odigitria, infatti, deriva dalla parola greca odos, che significa “via”. Quindi, vuol dire “Colei che conduce, che indica la via”.
Mirando con attenzione la statua della Madonna delle Grazie, vediamo quasi lo stesso atteggiamento. È vero che, diversamente dall’Odigitria nella quale la mano della Madre di Dio indica il Bambino come per dire: «E’ Lui la via», nel simulacro della Madonna delle Grazie, Maria offre il latte spirituale delle Grazie. Questa diversità rispetto all’icona Odigitria potrebbe essere proprio una reminiscenza del lentissimo passaggio dal culto pagano della Dea Iside a quello cristiano.
Sostanzialmente, nell’Odigitria Maria indica il Bambino Gesù come “la Via”, nella Madonna delle Grazie, la mano di Maria indica lo stesso il Bambino Gesù, anche se da Giovanni Merliano da Nola è stata adattata nell’atto di offrire il latte spirituale, cioè le Grazie, al popolo dei credenti.
Proseguiamo: nell’Odigitria, con la mano sinistra, di solito il Bambino Gesù tiene un rotolo di pergamena. Nel complesso scultoreo della Madonna delle Grazie, invece, tiene in mano, quasi nascosto, e quindi lontano da Maria, il frutto proibito del peccato originale, quasi ad indicare che, a causa dell’incarnazione del Figlio di Dio, Maria è stata concepita senza peccato. Quando Giovanni Merliano da Nola (1488-1558) scolpisce l’immagine di Maria Santissima delle Grazie, il privilegio Mariano dell’Immacolata Concezione, che verrà, poi, riconosciuto e promulgato come dogma da Papa Pio IX, nel 1854, , non solo è già presente da secoli nella Scuola teologica Francescana, ma nello stesso Sensus fidelium: cioè l’intuito istintivo del Popolo dei fedeli in campo di fede. Difatti, il privilegio dell’Immacolata Concezione di Maria è stato sempre presente nel pensiero e nel culto del popolo cristiano.
Ma l’ipotesi suggestiva ci riporta al suo autore: se veramente l’Odigitria è stata dipinta da San Luca, anche nella Madonna delle Grazie di Benevento abbiamo un’immagine viva dell’originale iconografico: l’immagine di Maria Santissima, Madre di Dio.