Insieme con la Chiesa di Santa Sofia, il chiostro è inserito nella lista del patrimonio mondiale dell’Unesco
IL CHIOSTRO PREFIGURA IL PARADISO
Il simbolismo ripercorre e lega, con forte accentuazione antropologica, la storia dell’universo e dell’umanità, dalla promessa alla realizzazione, dal giardino dell’Eden al giardino di Pasqua, da Adamo, creato ad immagine e somiglianza di Dio, a Cristo, figlio di Dio, nuovo Adamo, vero albero della vita, piantato al centro del paradiso, vera acqua che dal fonte battesimale zampilla per la vita eterna. In questo senso si può parlare del chiostro come paradiso claustrale e, più precisamente, come paradiso intermedio, come luogo dì passaggio dal paradiso perduto di Adamo, al paradiso ritrovato in Cristo. Il giardino del chiostro è, in genere, quadripartito; scandisce le tappe della spiritualità monastica attraverso quattro tempi: il giardino dell’Eden, il giardino del Cantico dei Cantici, il giardino degli Ulivi, il giardino di Pasqua.
Donato Calabrese
Per cogliere il valore artistico, simbolico, biblico, e cristiano, dell’incatevole Chiostro di Santa Sofia in Benevento, è essenziale partire dal nome chiostro. Nel medioevo, tale parola designava un rifugio, un luogo chiuso, recintato, appartato, solitario. Un’immagine che prefigura e anticipa, anche se pallidamente, il paradiso celeste. Ecco perché, come diceva Onorio d’Autun, “Claustrum praesefert paradisum”, il chiostro prefigura il paradiso. Una definizione che trova conferma anche altrove, dov’è affermato che il chiostro è “una replica sulla terra della Gerusalemme celeste (Ap 21), con i suoi due viali che formano una croce, con al centro il pozzo, la croce, l’albero o la colonna, che rappresentano l’asse cosmico”(Michel Feuillet, Lessico dei Simboli Cristiani, Edizioni Arkeios, dicembre 2006,30). La struttura stessa del chiostro, la forma obbligatoriamente quadrangolare è legata al significato simbolico del numero quattro che, nella cultura antica, è il numero che esprime l’universo: la terra che poggia su quattro colonne, i quattro elementi dell’universo, i quattro punti cardinali, i quattro venti, le quattro stagioni. Le quattro gallerie del chiostro di Santa Sofia, da quella a sud-ovest a quella a sud-est, indicano e riproducono il pellegrinaggio spirituale del monaco verso l’amore perfetto di Dio, e rispettivamente, il disprezzo di sé, il disprezzo del mondo, l’amore del prossimo e l’amore di Dio.
Ognuno dei quattro lati del chiostro ha la sua fila di colonne: sono dodici, come il numero degli apostoli, tranne nell’angolo a sud, dove il chiostro forma un angolo sporgente, per lasciare spazio alla Chiesa di Santa Sofia.
Nei quattro lati, del chiostro ci sono quattro archi a sesto ribassato, di gusto moresco. Il numero quattro si arricchisce di nuovi simboli che si aggiungono agli antichi, come quello dei quattro evangelisti e dei quattro vangeli. Ogni arco si poggia su tre colonnine: quattro e tre formano il sette, che nella Bibbia è il numero sacro perché è il simbolo di Dio attraverso il quale si proclama la Sua perfezione e completezza. Il sette indica il sabato cioè il settimo giorno nel quale Dio si riposa, dopo i sei giorni della creazione. Il sette è anche il numero dei sacramenti donati da Gesù. Proprio Lui disse a Pietro che avrebbe dovuto perdonare il suo fratello non “fino a sette volte”, ma “fino a settantasette volte”(Cfr. Mt 18,21-22. ). Quindi, la ripetizione del numero sette doveva trasmettere l’idea che bisogna perdonare senza limiti.
Il giardino del chiostro evoca la varietà, la bellezza e l’armonia del cosmo, in cui i quattro elementi sono non solo rappresentati ma riprodotti: la terra che vi è coltivata, l’acqua che vi sgorga, l’aria in cui è avvolto, la luce da cui è inondato (Cfr. www.cistercensi.info). Il simbolismo ripercorre e lega, con forte accentuazione antropologica, la storia dell’universo e dell’umanità, dalla promessa alla realizzazione, dal giardino dell’Eden al giardino di Pasqua, da Adamo, creato ad immagine e somiglianza di Dio, a Cristo, figlio di Dio, nuovo Adamo, vero albero della vita, piantato al centro del paradiso, vera acqua che dal fonte battesimale zampilla per la vita eterna. In questo senso si può parlare del chiostro come paradiso claustrale e, più precisamente, come paradiso intermedio, come luogo dì passaggio dal paradiso perduto di Adamo, al paradiso ritrovato in Cristo. Il giardino del chiostro è, in genere, quadripartito; scandisce le tappe della spiritualità monastica attraverso quattro tempi: il giardino dell’Eden, il giardino del Cantico dei Cantici, il giardino degli Ulivi, il giardino di Pasqua (cistercensi.info).
Lo spazio centrale del chiostro è caratterizzato da un giardino con un pozzo situato proprio al centro, che, oltre a svolgere la sua funzione primaria, è considerato anche fonte della vita, ma anche come simbolo di purificazione e rinnovamento dello spirito. Il percorso coperto sotto le logge o gli archi è quello di un quadrato, che però si compie in maniera circolare, antioraria. È un itinerario di eternità: il circolo, simbolo del trascendente, è racchiuso nel quadrato, simbolo dell’immanente.
Passeggiare al coperto significa compiere un itinerario di risanamento ascetico, andando dall’Antico al Nuovo Testamento: tutto il sistema del chiostro, la luce, gli alberi, le sculture, sono in funzione di questo itinerario, una lettura nello spazio e nel tempo”(Padre Crispino Valenziano, cfr. https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1984/08/30/la-dove-il-cerchio-diventa-quadrato.html).
Il girare nel chiostro di Santa Sofia, come negli altri chiostri monastici, dovrebbe portare a un miglioramento continuo, un itinerario di purificazione che appare plasticamente identificabile in alcune colonne annodate o attorcigliate. Esprimono l’inizio dell’itinerario ascetico e di purificazione dell’anima.
Poi, il cammino si fa più puro, più sciolto, ed appare quasi visibilmente nella colonna che sembra sciolta alla base (Non riesco più a individuare tale colonna, sperando che non sia stata sostituita: sarebbe gravissimo). Questa rappresenta la condizione di libertà e abbandono dell’anima che ha ritrovato Dio, e si lascia perdonare e amare infinitamente da Lui. C’è una frase di Padre Pio da Pietrelcina che raffigura mirabilmente tale confidenziale abbandono dell’anima. A padre Giovanni da Baggio che gli aveva chiesto, un giorno, cosa fa l’anima quando vive nell’orazione mentale e nella contemplazione, Padre Pio rispose: “Si scioglie, si perde nell’amore”. Ecco, la colonna sciolta come cera, alla base, esprimeva plasticamente l’atteggiamento dell’anima che si scioglie davanti all’amore del Creatore, rivelato in Gesù Cristo, suo Figlio Diletto. Questo pensiero che esprime la condizione dell’anima che ha ritrovato l’amore di Dio, combacia con quello espresso sette secoli prima da San Bernardo da Chiaravalle: “L’uomo deve passare dalla condizione carnale alla vita secondo lo Spirito… Se il cuore è purificato anche il corpo è purificato, quindi anche i sensi, l’immaginazione, sono strumenti positivi per l’incontro con Dio.
L’ascesi rende possibile il superamento dell’egoismo attraverso il dominio delle tendenze negative, e aiuta a vivere nell’amore”.
Così come lo vediamo ora, il chiostro di Santa Sofia risale alla prima metà del XII secolo, ed è parte del monastero annesso alla chiesa di Santa Sofia e costruito tra il 1142 e il 1176 dall’abate Giovanni IV.
Oggi tutto il complesso è stato riconosciuto patrimonio dell’UNESCO.
Nel monastero di Santa Sofia, c’era uno Scriptorium, cioè un ambiente generalmente annesso alla biblioteca e riservato alla trascrizione dei manoscritti, che elaborò anche la famosa Scrittura Beneventana derivata dai caratteri longobardi e usata poi in codici e documenti fino a tutto il XIII secolo. L’ex monastero è ora sede del Museo del Sannio e possiede una raccolta di reperti archeologici, armi, stampe, monete ed una pinacoteca con quadri dal Cinquecento al Settecento.
Il chiostro di Santa Sofia ha una struttura romanico-campana arricchita dal gusto arabo. È a pianta quadrangolare, composto da quindici quadrifore e una trifora, che, nell’angolo a sud, ripiegando con la quadrifora dell’altro lato per dare spazio alla chiesa, forma un angolo sporgente di bell’effetto, esistente forse già nel primo chiostro costruito intorno all’VIII secolo. Le aperture del chiostro sono adornate da 47 colonne di granito, calcare, ed alabastro, ciascuna con la sua caratteristica, che su ciascuno dei lati si inseguono in una prospettiva composta. Poggiate su basi alte 50 cm, dimostrano il gusto creativo teso all’originalità dell’opera, tipico del tempo, come i capitelli e i pulvini elaborati, sfaccettati con le figurazioni più impensate: fogliame, allegorie, profili di figure umane e di animale.
Tutte le opere presenti sui capitelli e sui pulvini sono state probabilmente realizzate dagli stessi monaci benedettini ed in particolare vengono attribuite alla mano di 3 maestri denominati: il Maestro dei Mesi, così definito per la serie dei mesi e dei lavori ad essi dedicati, scolpita sui pulvini del chiostro; il Maestro dei Draghi al quale fanno sicuramente riferimento le raffigurazioni bestiali dei pulvini, e il Maestro della Cavalcata degli Elefanti facilmente riconoscibile dalle raffigurazioni degli elefanti.
La numerazione delle colonne in senso antiorario e la lettura dei suoi pulvini, poi, si devono al prof. Elio Galasso, ex direttore del Museo del Sannio e insigne studioso del chiostro.
Come dei tronchi rovesciati posti tra i capitelli e gli archi, i pulvini si stagliano con molteplici figure per rappresentare il dissidio tra il Bene e del Male, il ciclo dei mesi, temi allegorici, oppure scene bibliche o abitate da animali fantastici.
Mi piace soffermare l’attenzione sulla colonna numero uno. Sul suo capitello, infatti, è stato scolpito San Benedetto assiso in cattedra che, rivolto a chi entra nel Chiostro del monastero benedettino dalla Porta Maggiore, mostra il libro della sua Regola “Ora et labora”.
Non ci si può non restare colpiti, di fronte alla rappresentazione plastica della Natività. La Vergine, con la sua veste rigata da pieghe, veglia il Bambino Gesù in fasce, mentre si scorge appena, di lato, la figura di San Giuseppe. Non poteva mancare, nella scena, l’Angelo che protegge la Sacra Famiglia, più in alto, la stella cometa che conduce i re Magi rappresentati dall’altro lato del pulvino. Sembra che l’opera risalga al 1150 circa e resta tuttora ignoto il nome del suo autore. È probabilmente la raffigurazione più antica della Natività, antecedente anche alla rappresentazione allestita da san Francesco a Greccio.
Se volete vedere, nella magnificenza del 4K (ultra HD) il video che TELEBENE, la Televisione spirituale ha realizzato nel Chiostro di Benevento, cliccate qui: