Sant'Agostino di Ippona (354-430)
L'africano Aurelio Agostino è considerato, senza dubbio, il più importante dei Padri della Chiesa, oltre ad essere personalità storica mondiale di primissimo piano e da ben pochi uguagliato. Agostino nacque il 13 novembre 354 a Tagaste (Souk-Ahras) nella Numidia. Non sappiamo se i suoi genitori fossero di pura origine romana. Il padre, Patrizio, impiegato municipale, entrò nella Chiesa come catecumeno solo nei suoi ultimi anni e fu battezzato poco prima della morte(371). La madre, Monica, era invece cristiana zelante.
Agostino ricevette a Tagaste la prima istruzione, e poiché, per volontà del padre, era destinato a diventare rètore, proseguì i suoi studi nella vicina Madaura. Di qui passò nel 371 a Cartagine per seguirvi i corsi di retorica e diritto. Là da una relazione irregolare - durata fino al 384 - ebbe nel 372 un figlio, Adeodato.
Disprezzava, in quel tempo, la religione di sua madre, quasi fosse, lo dice egli stesso, un insieme di "leggende da vecchierelle". Allorché, nel 373, lesse, secondo il programma degli studi, il dialogo "Hortensius" di Cicerone, cominciò a sentire l'anelito verso una concezione del mondo fondata su basi filosofiche. Poco dopo si iscrisse come esterno (auditor) al Manicheismo, che a lui, superbo della sua scienza, appariva, in opposizione al Cristianesimo insegnato dalla Chiesa, come la religione dei lumi, libera da ogni autorità, vera forma di Cristianesimo.
Nel 374/75, terminati gli studi, Agostino si stabilì a Tagaste come insegnante delle arti liberali, ma trasferì poco dopo la sua scuola a Cartagine (375/83). Sul finire di questo periodo della sua vita, i dubbi sulla verità del sistema manicheo andarono aumentando sempre più: quella cosmologia gli sembrò inconciliabile con la dottrina insegnata dalla filosofia greca, e si avvide che il dualismo insegnato dai Manichei era in contraddizione con il loro concetto della divinità. Finì di disilluderlo un'intervista che ebbe col famoso vescovo manicheo Fausto di Milevi, nel quale egli non trovò che un parolaio poco dotto. Tuttavia anche a Roma, dove si era portato nel 383 contro la volontà della madre, avvicinò gli amici manichei.
Agli inzi del 384, per i buoni uffici del prefetto pagano di Roma Simmaco, ottenne un posto di insegnante di retorica a Milano messo a concorso dallo Stato.
Malgrado questa situazione sicura e onorata, e benché la madre ed altri prossimi parenti abitassero allora con lui, Agostino si sentiva nel suo interno più tormentato ed infelice che mai.
Ascoltando i sermoni di S. Ambrogio, vescovo di Milano, che per lo più spiegava allegoricamente il testo biblico corrente, trovò una luce nuova. Nel decisivo 386, Agostino, che lottava per una nuova concezione del mondo, avrebbe conosciuto per la prima volta le dottrine neoplatoniche. La lettura dei trattati di Plotino già tradotti in latino, attraverso i quali incominciò a concepire Dio come sostanza puramente spirituale e il male come un nulla, gli recò un grande progresso intellettuale. Il sacerdote Simpliciano, di orientamento neoplatonico, che poi succederà ad Ambrogio nella sede vescovile di Milano, gli dimostrò come la speculazione sul Logos del prologo giovanneo completasse la dottrina di Plotino intorno al Nous. Così, attraverso la filosofia, gli si schiuse una via verso la fede nell'eterno Logos-Dio. Lo stesso Simpliciano attirò l'attenzione di Agostino sull'importanza della lettura delle lettere di Paolo. In esse capì che l'uomo, soltanto attraverso la grazia divina, riesce a raggiungere il fine cui tende: l'unione con Dio mediante la fede, che egli, come neoplatonico, aveva sperato di raggiungere con l'aiuto della meditazione filosofica.
In un'ora in cui la lotta tumultuava più violenta che mai nel suo spirito, gli fu additato da Simpliciano, con quale fermezza e risolutezza il celebre rètore Mario Vittorino avesse superato, alla fine, tutti gli impedimenti che si erano frapposti alla sua entrata nella Chiesa, e un'altra volta un amico gli narrò la vita di austero ascetismo dell'anacoreta Antonio e di altri monaci e romiti. Quella fu per lui l'ora della decisione. Pervaso da un’emozione profonda, si precipitò nel giardino e sentì ripetutamente una voce infantile che gli diceva: "Tolle, Lege". Aprì il libro delle epistole di S. Paolo e lesse il tratto di quella ai Romani 13, 13 s. D'improvviso "svanì ogni nebbia di dubbio"(Conf. 8, 12).
Poche settimane più tardi, nell’autunno del 386, rinunziò all’insegnamento e si ritirò in campagna, a Cassiciacum, nel podere di un amico, in attesa di iscriversi, all'inizio della prossima quaresima, tra i catecumeni che si preparavano al battesimo.
Chiari indizi ci dicono che Agostino già qualche tempo prima della suddetta "scena del giardino" era fermamente deciso a farsi cristiano e sottomettersi all'autorità della Chiesa, come quella che rappresentava la verità cui egli da molto tempo aspirava.
Dalla commovente descrizione della sua conversione (Conf. 8, 6-12) noi apprendiamo anzitutto che il rètore, già intimamente credente, era pervenuto, rinunciando a ricchezza ed onori, a scegliere la via, che allora giudicava la più perfetta, della castità e della rinuncia al matrimonio.
Con lo spirito libero dai ceppi della sensualità e della passione, volle poi dedicarsi tutto e per sempre alla ricerca della verità e così conseguire la felicità.
Agostino ricevette il battesimo il Sabato santo, 23 aprile, del 387, assieme al figlio e all'amico Alipio, per mano di S.Ambrogio.
Alcuni mesi dopo intraprese il viaggio di ritorno in Africa, passando per Roma. Ad Ostia, poco prima di imbarcarsi, Monica si ammalò e dopo nove giorni morì.
Allora Agostino tornò a Roma e qui si trattenne circa un anno, occupato in lavori letterari.
Nell’autunno del 388 rientrò a Tagaste ove visse nella casa paterna per tre anni con alcuni amici, in claustrale ritiro.
La fama della sua dottrina e della sua pietà era già così grande, che nel 391, durante un suo soggiorno ad Ippona, mentre assisteva, senza alcun sospetto, all’ufficio divino, il vescovo Valerio, su richiesta dei presenti, nonostante la sua resistenza, lo ordinò prete. Così ha inizio un nuovo periodo della sua evoluzione spirituale. L'interesse che portava agli studi filosofici e alla cultura delle arti liberali cedette il posto a un orientamento puramente teologico e all'attività apostolica inerente alla sua dignità nuova.
Anche ad Ippona, come già a Tagaste, fondò un monastero ove viveva in comune con i vecchi amici e le nuove reclute.
Nel 395 il vescovo Valerio lo fece consacrare suo ausiliare, cosicché alla sua morte (396) Agostino ne occupò il posto. Continuò col suo clero a condurre vita cenobitica. Si occupò con zelo particolare della predicazione e fu instancabile nella cura dei poveri. L'attività di scrittore impegnò sempre una gran parte delle sue forze, e furono soprattutto le questioni e controversie religiose del suo tempo ad assorbirlo.
S.Agostino morì a Ippona il 28 agosto del 430, mentre i Vandali tenevano assediata la città. Dopo la caduta di questa, i suoi resti furono trasportati in Sardegna e, nel 722, da Liutprando a Pavia.
fonte:http://www.monasterovirtuale.it/s_agostino.html
Sant'Agostino ha lasciato un grandissima quantità di documenti. Pertanto, nella mia ricerca dei riferimenti Cristologici sicuramente ho tralasciato, forse anche senza saperlo, tantissimo materiale. Per chi vuole approfondire segnalo il seguente Sito: http://www.augustinus.it
Da LE CONFESSIONI di Sant'Agostino:
Libro settimo.
Cristo Gesù, unico Mediatore fra l'uomo e Dio
18. 24. Cercavo la via per procurarmi forza sufficiente a goderti, ma non l’avrei trovata, finché non mi fossi aggrappato al mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù che è sopra tutto Dio benedetto nei secoli. Egli ci chiama e ci dice: "Io sono la via, la verità e la vita"; egli mescola alla carne il cibo che non avevo forza di prendere, poiché il Verbo si è fatto carne affinché la tua sapienza, con cui creasti l’universo, divenisse latte per la nostra infanzia. Non avevo ancora tanta umiltà, da possedere il mio Dio, l’umile Gesù, né conoscevo ancora gli ammaestramenti della sua debolezza. Il tuo Verbo, eterna verità che s’innalza al di sopra delle parti più alte della creazione, eleva fino a sé coloro che piegano il capo; però nelle parti più basse col nostro fango si edificò una dimora umile, la via per cui far scendere dalla loro altezza e attrarre a sé coloro che accettano di piegare il capo, guarendo il turgore e nutrendo l’amore. Così impedì che per presunzione si allontanassero troppo, e li stroncò piuttosto con la visione della divinità stroncata davanti ai loro piedi per aver condiviso la nostra tunica di pelle. Sfiniti, si sarebbero reclinati su di lei, ed essa alzandosi li avrebbe sollevati con sé.
False opinioni di Agostino e Alipio su Cristo
Ma io pensavo diversamente. Per me Cristo mio signore non era che un uomo straordinariamente sapiente e senza pari. Soprattutto la sua nascita miracolosa da una vergine, ov’è indicato il disprezzo dei beni temporali come condizione per ottenere l’immortalità, mi sembrava avesse guadagnato al suo magistero, grazie alla sollecitudine di Dio verso di noi, un’autorità grandissima. Ma il mistero racchiuso in quelle parole: Il Verbo fatto carne, non potevo nemmeno sospettarlo. Soltanto sapevo di lui le notizie tramandate dalle Scritture: che mangiò e bevve, dormi, camminò, provò gioia e tristezza, conversò; che quella carne non si unì al tuo Verbo senza un’anima e un’intelligenza umane: cose che sa chiunque sa che il tuo Verbo è immutabile, come ormai io lo sapevo nella misura delle mie forze, ma senza ombra di dubbio. In verità, il muovere ora le membra del corpo in forza della volontà, ora non muoverle, il sentire ora un sentimento, ora non sentirlo, l’esprimere ora a parole concetti saggi, ora tacere, sono atti propri di un’anima e di una mente mutevoli; e se si fosse scritto di lui tutto ciò mentendo, anche il resto rischiava di essere falso, e in quel testi non rimaneva più alcuna salvezza per il genere umano attraverso la fede. Quindi erano scritti veri, e perciò io riconoscevo in Cristo un uomo completo, ossia non soltanto il corpo di un uomo, o un’anima e un corpo senza intelligenza, ma un uomo vero, da anteporre secondo me a tutti gli altri non perché fosse la verità in persona, ma in virtù di un’eccellenza singolare della sua natura umana, e di una partecipazione più perfetta alla sapienza.
Quanto ad Alipio, si era fatto l’idea che i cattolici nel credere a un Dio rivestito di carne credessero all’esistenza in Cristo di Dio e della carne soltanto, mentre l’anima e l’intelligenza umane pensava non gli fossero attribuite. Persuaso poi che le opere a lui ascritte dalla tradizione non possono compiersi se non da una creatura vitale e razionale, procedeva appunto verso la fede cristiana piuttosto lentamente. Solo più tardi venne a sapere che questa è la concezione erronea degli eretici apollinaristi, e si uniformò con gioia alla fede cattolica.
Io da parte mia confesso di aver capito alquanto più tardi come nei riguardi della frase: Il Verbo si è fatto carne, la verità cattolica si stacchi dalla menzogna di Fotino. Davvero, la condanna degli eretici dà spicco al pensiero della tua Chiesa e alla sostanza del suo sano insegnamento. Dovettero prodursi infatti anche delle eresie, affinché si vedesse chi era saldo nella fede tra i deboli.
Fede senza umiltà
20. 26. Però allora, dopo la lettura delle opere dei filosofi platonici, da cui imparai a cercare una verità incorporea; dopo aver scorto quanto in te è invisibile, comprendendolo attraverso il creato’, e aver compreso a prezzo di sconfitte quale fosse la verità che le tenebre della mia anima mi impedivano di contemplare, fui certo che esisti, che sei infinito senza estenderti tuttavia attraverso spazi finiti o infiniti, e che sei veramente, perché sei sempre il medesimo, anziché divenire un altro o cambiare in qualche parte o per qualche moto; mentre tutte le altre cose sono derivate da te, come dimostra questa sola saldissima prova, che sono. Di tutto ciò ero dunque certo, ma troppo debole ancora per goderti. Cianciavo, sì, come fossi sapiente; ma, se non avessi cercato la tua via in Cristo nostro salvatore, non sapiente ma morente sarei stato ben presto. Mi aveva subito preso la smania di apparire sapiente, mentre ero ricco del mio castigo e non ne avevo gli occhi gonfi di pianto, ma io invece ero tronfio per la mia scienza. Dov’era quella carità che edifica sul fondamento dell’umiltà, ossia Gesù Cristo? Quando mai quei libri avrebbero potuto insegnarmela? Credo che la ragione, per cui volesti che m’imbattessi in quelli prima di meditare le tue Scritture, fosse d’incidere nella mia memoria le impressioni che mi diedero, così che, quando poi i tuoi libri mi avessero ammansito e sotto la cura delle tue dita avessi rimarginato le mie ferite, sapessi discernere e rilevare la differenza che intercorre fra la presunzione e la confessione, fra coloro che vedono la meta da raggiungere, ma non vedono la strada, e la via che invece porta alla patria beatificante, non solo per vederla, ma arche per abitarla. Plasmato all’inizio dalle tue sante Scritture, assaporata la tua dolcezza nel praticarle e imbattutomi dopo in quei volumi, forse mi avrebbero sradicato dal fondamento della pietà; oppure, quand’anche avessi persistito nei sentimenti salutari che avevo assorbito, mi sarei immaginato che si poteva pure derivarli dal solo studio di quei libri.
Cosa farà l’uomo nella sua miseria? chi lo libererà da questo corpo mortale, se non la tua grazia per mezzo di Gesù Cristo signore nostro, generato da te coeterno, creato al principio delle tue vie in cui il principe di questo mondo non trovò nulla che fosse degno di morte, eppure lo fece morire, e così fu svuotato il documento che era contro di noi.
Libro ottavo. LA CONVERSIONE
"Prendi e leggi"
– 29. Così parlavo e piangevo nell’amarezza sconfinata del mio cuore affranto. A un tratto dalla casa vicina mi giunge una voce, come di fanciullo o fanciulla, non so, che diceva cantando e ripetendo più volte: "Prendi e leggi, prendi e leggi". Mutai d’aspetto all’istante e cominciai a riflettere con la massima cura se fosse una cantilena usata in qualche gioco di ragazzi, ma non ricordavo affatto di averla udita da nessuna parte. Arginata la piena delle lacrime, mi alzai. L’unica interpretazione possibile era per me che si trattasse di un comando divino ad aprire il libro e a leggere il primo verso che vi avrei trovato. Avevo sentito dire di Antonio che ricevette un monito dal Vangelo, sopraggiungendo per caso mentre si leggeva: "Va’, vendi tutte le cose che hai, dàlle ai poveri e avrai un tesoro nei cieli, e vieni, seguimi". Egli lo interpretò come un oracolo indirizzato a se stesso e immediatamente si rivolse a te. Così tornai concitato al luogo dove stava seduto Alipio e dove avevo lasciato il libro dell’Apostolo all’atto di alzarmi. Lo afferrai, lo aprii e lessi tacito il primo versetto su cui mi caddero gli occhi. Diceva: "Non nelle crapule e nelle ebbrezze, non negli amplessi e nelle impudicizie, non nelle contese e nelle invidie, ma rivestitevi del Signore Gesù Cristo né assecondate la carne nelle sue concupiscenze". Non volli leggere oltre, né mi occorreva. Appena terminata infatti la lettura di questa frase, una luce, quasi, di certezza penetrò nel mio cuore e tutte le tenebre del dubbio si dissiparono.
LIBRO NONO Riflessioni sul salmo quarto
– 9. Rabbrividii di paura e insieme ribollii di speranza e giubilo nella tua misericordia, Padre; e tutti questi sentimenti si esprimevano attraverso i miei occhi e la mia voce alle parole che il tuo spirito buono dice rivolto a noi: "Figli degli uomini, fino a quando avrete i cuori gravati? Sì, perché amate la vanità e cercate la menzogna?". Io avevo amato appunto la vanità e cercato la menzogna, mentre tu, Signore, avevi già esaltato il tuo Santo, risuscitandolo dai morti e collocandolo alla tua destra, affinché inviasse dal cielo chi aveva promesso, il Paracleto, spirito di verità. L’aveva già inviato, ma io lo ignoravo. L’aveva già inviato, per essere già stato esaltato risorgendo dai morti e ascendendo al cielo. Prima lo Spirito non era stato ancora dato, perché Gesù non era stato ancora glorificato. Grida il profeta: "Fino a quando avrete i cuori gravati? Sì, perché amate la vanità e cercate la menzogna? Sappiate che il Signore ha esaltato il suo Santo"; grida: "Fino a quando", grida: "Sappiate", e io per tanto tempo, ignaro, amai la vanità e recai la menzogna. Perciò un brivido mi corse tutto all’udirlo. Ricordavo di essere stato simile a coloro, cui sono rivolte queste parole; gli inganni che avevo preso per verità, erano vanità e menzogna, Perciò feci risuonare a lungo, profonde e forti, le mie grida nel dolore del ricordo. Oh, se le avessero udite coloro che amano tuttora la vanità e cercano la menzogna! Forse ne sarebbero rimasti turbati e l’avrebbero rigettata; tu li avresti esauditi, quando avessero levato il loro grido verso di te, poiché morì per noi della vera morte della carne Chi intercede per noi presso di te.
LIBRO DECIMO Il vero mediatore: Gesù Cristo
43. 68. Il mediatore autentico, che la tua misteriosa misericordia rivelò e mandò agli umili, affinché dal suo esempio imparassero proprio anche l’umiltà, questo mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, si presentò fra i peccatori mortali e il Giusto immortale, mortale come gli uomini, giusto come Dio, affinché, ricompensa della giustizia essendo la vita e la pace, per la giustizia, congiunta con Dio, abolisse la morte degli empi giustificati, che con loro volle condividere. È lui, che fu rivelato ai santi del tempo antico, affinché si salvassero credendo nella sua passione futura, come noi credendo nella sua passione passata. In quanto è uomo, in tanto è mediatore; in quanto Verbo invece non è mediano, poiché uguale a Dio, Dio presso Dio, e insieme a lui unico Dio.
– 69. Quanto amasti noi, Padre buono, che non risparmiasti il tuo unico Figlio, consegnandolo agli empi per noi! Quanto amasti noi, per i quali egli non giudicando un’usurpazione la sua uguaglianza con te, si fece suddito fino a morire in croce, lui, l’unico a essere libero fra i morti, avendo il potere di deporre la sua vita e avendo il potere di riprenderla, vittorioso e vittima per noi al tuo cospetto, e vittorioso in quanto vittima; sacerdote e sacrificio per noi al tuo cospetto, e sacerdote in quanto sacrificio; che ci rese, di servi, tuoi figli, nascendo da te e servendo a noi! A ragione è salda la mia speranza in lui che guarirai tutte le mie debolezze grazie a Chi siede alla tua destra e intercede per noi presso di te. Senza di lui dispererei. Le mie debolezze sono molte e grandi, sono molte, e grandi. Ma più abbondante è la tua medicina. Avremmo potuto credere che il tuo Verbo fosse lontano dal contatto dell’uomo, e disperare di noi, se non si fosse fatto carne e non avesse abitato fra noi.
- 70. Atterrito dai miei peccati e dalla mole della mia miseria, avevo ventilato in cuor mio e meditato una fuga nella solitudine. Tu me lo impedisti, rinsaldandomi con queste parole: Cristo morì per tutti affinché i viventi non vivano più per se stessi, ma per Chi morì per loro. Ecco, Signore, lancio in te la mia pena, per vivere; contemplerò le meraviglie della tua legge. Tu sai la mia inesperienza e la mia infermità: ammaestrami e guariscimi. Il tuo unigenito, in cui sono ascosi tutti i tesori della sapienza e della scienza, mi riscattò col suo sangue. Gli orgogliosi non mi calunnino, se penso al mio riscatto, lo mangio, lo bevo e lo distribuisco; se, povero, desidero saziarmi di lui insieme a quanti se ne nutrono e saziano. Lodano il Signore coloro che lo cercano.
SANT'AGOSTINO: Dal COMMENTO AL VANGELO DI SAN GIOVANNI (Omelia 3, 3; 15. Omelia 119, 6. Omelia 123,4):
OMELIA 3
Dalla sua pienezza abbiamo ricevuto grazia su grazia
3. Chi è il medico? Il Signore nostro Gesù Cristo. Chi è nostro Signore Gesù Cristo? Colui che fu visto anche da coloro che lo crocifissero, colui che fu preso, schiaffeggiato, flagellato, coperto di sputi, coronato di spine, appeso alla croce, fatto morire, trafitto con la lancia, deposto dalla croce, messo nel sepolcro. E' questo il Signore nostro Gesù Cristo; ed è lui il medico di tutte le nostre ferite, quel crocifisso che fu insultato, di cui, quando pendeva dalla croce, i persecutori scuotendo il capo dicevano: Se è il Figlio di Dio, discenda dalla croce (Mt 27, 40). Sì, è lui il nostro vero medico. Ma perché allora non fece vedere, a chi lo insultava, che egli era Figlio di Dio? Perché, dopo aver permesso che lo innalzassero sulla croce, quando quelli dicevano: Se è Figlio di Dio, discenda dalla croce, perché almeno allora non scese giù mostrando che era veramente Figlio di Dio, lui che avevano osato schernire? Non volle! E perché? Forse perché non poteva? Certo che poteva. E' più difficile, infatti, scendere dalla croce o risorgere dal sepolcro? Ma egli preferì sopportare quelli che lo insultavano, perché scelse la croce non come una prova di potenza, ma come un esempio di pazienza. Guarì le tue piaghe su quella croce dove a lungo sopportò le sue; ti liberò dalla morte eterna su quella stessa croce dove accettò la morte temporale. E morì. O non si deve dire piuttosto che in lui morì la morte? Che morte è mai quella che uccide la morte (cf. Os 13, 14)? 15. Parlo dell'umiltà di Cristo, o miei fratelli. Che dire della maestà di Cristo, della sua divinità? Già non mi sento all'altezza di affrontare, sia pure in qualche modo, il tema dell'umiltà di Cristo. Lo affido totalmente alla vostra meditazione, non esaurisco il tema dinanzi a voi che mi ascoltate. Meditate sull'umiltà di Cristo. Mi direte: chi ce la spiegherà se tu non ce ne parli? Ve ne parli lui dentro di voi. Colui che abita dentro di voi, potrà parlarvene meglio di chi fa sentire la sua voce di fuori. Vi mostri lui la grazia della sua umiltà, lui che ha fissato la sua dimora nei vostri cuori. Che se già ci sentiamo mancare le forze nel tentativo di parlarvi della sua umiltà, chi si sentirà di parlare della sua maestà? Se già ci sgomenta il mistero del Verbo che si è fatto carne, chi si sentirà di affrontare il tema del Verbo che era in principio? Dunque, fratelli, appoggiatevi a questa solida verità.
OMELIA 119
La croce una cattedra
6. Quando Gesú ebbe preso l'aceto disse: Tutto è compiuto! Che cosa era compiuto, se non ciò che la profezia tanto tempo prima aveva predetto? E siccome non rimaneva nulla che ancora si dovesse compiere prima che egli morisse, siccome aveva il potere di dare la sua vita e di riprenderla di nuovo (cf. Gv 10, 18), essendosi compiuto tutto ciò che aspettava si compisse, chinato il capo, rese lo spirito. Chi può addormentarsi quando vuole, cosí come Gesú è morto quando ha voluto? Chi può deporre la sua veste, cosí come egli ha deposto la carne quando ha voluto? Chi può andarsene quando vuole, cosí come egli è morto quando ha voluto? Quanta speranza, e insieme quanto timore, deve infonderci la potenza di colui che verrà per giudicarci, se tanto potente si è manifestato nella sua morte!
OMELIA 123 La triplice confessione di Pietro
4. Quand'ebbero fatto colazione, Gesù dice a Simon Pietro: Simone di Giovanni, mi ami più di questi? Gli risponde: Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene. Gli dice: Pasci i miei agnelli. Gli dice di nuovo: Simone di Giovanni, mi ami tu? Gli risponde: Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene. Gli dice: Pasci i miei agnelli. Gli dice per la terza volta: Simone figlio di Giovanni, mi vuoi bene? Pietro si rattristò che per la terza volta Gesù gli dicesse: Mi vuoi bene? E rispose: Signore, tu sai tutto; tu sai che ti voglio bene. Gesù gli disse: Pasci le mie pecorelle. In verità, in verità ti dico: quando eri più giovane ti cingevi da te stesso, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà e ti porterà dove tu non vorresti. E questo gli disse indicando la morte con la quale avrebbe glorificato Dio (Gv 21, 15-19). Così chiuse la vita terrena l'apostolo che lo aveva rinnegato e lo amava. La presunzione lo aveva innalzato, il rinnegamento lo aveva umiliato, le lacrime lo avevano purificato; superò la prova della confessione, ottenne la corona del martirio. E così ottenne, nel suo perfetto amore, di poter morire per il nome del Signore, insieme al quale, con disordinata impazienza, si era ripromesso di morire. Sostenuto dalla risurrezione del Signore, egli farà quanto nella sua debolezza aveva prematuramente promesso. Bisognava infatti che prima Cristo morisse per la salvezza di Pietro, perché Pietro a sua volta potesse morire per la predicazione di Cristo. Del tutto intempestivo fu quanto aveva intrapreso l'umana presunzione, dato che questo ordine era stato stabilito dalla stessa verità. Pietro credeva di poter dare la sua vita per Cristo (cf. Gv 13, 37): colui che doveva essere liberato sperava di poter dare la sua vita per il suo liberatore, mentre Cristo era venuto per dare la sua vita per tutti i suoi, tra i quali era anche Pietro. Ed ecco che questo è avvenuto. Ora ci è consentito di affrontare per il nome del Signore anche la morte con fermezza d'animo, con quella vera che egli stesso dona, non con quella falsa che nasce dalla nostra vana presunzione. Noi non dobbiamo più temere la perdita di questa vita, dal momento che il Signore, risorgendo, ci ha offerto in se stesso la prova dell'altra vita. Ora è il momento, Pietro, in cui non devi temere più la morte, perché è vivo colui del quale piangevi la morte, colui al quale, nel tuo amore istintivo, volevi impedire di morire per noi (cf. Mt 16, 21-22). Tu hai preteso di precedere il condottiero, e hai avuto paura del suo persecutore; ora che egli ha pagato il prezzo per te, è il momento in cui puoi seguire il redentore, e seguirlo senza riserva fino alla morte di croce. Hai udito la parola di colui che ormai hai riconosciuto verace; predisse che lo avresti rinnegato, ora predice la tua passione.
Dal commento al Vangelo di Giovanni ho scelto casualmente solo questi pochi brani. In effetti, tutto il documento meriterebbe di essere inserito, perché ricchissimo di riferimenti Cristologici. Per chi vuole conoscere in maniera più approfondita, segnalo questa pagina del sito ufficiale dedicato a Sant'Agostino di Ippona:
http://www.augustinus.it/italiano/commento_vsg/index2.htm