Origene (185 circa - 253)
Figlio del maestro cristiano e poi martire, Leonida, Origene nasce ad Alessandria d'Egitto. Già all'età di 18 anni (202-203), dal vescovo Demetrio, è nominato maestro nella scuola catechetica e successore di Clemente Alessandrino, costretto a fuggire in seguito alla persecuzione di Settimio Severo.
Entusiasta della fede cristiana, Origene cerca di vivere profondamente il Vangelo di Cristo, tanto da interpretare alla lettera il brano evangelico di Matteo 19,12, e quindi evirandosi intorno all'anno 210. Purtroppo questa mutilazione gli impedisce di divenire sacerdote. Allo scopo di perfezionare la sua preparazione, frequenta le lezioni del celebre Ammonio Sacca, fondatore della scuola neoplatonica di Alessandria, dedicandosi, inoltre, anche allo studio dell'ebraico.
Verso il 212 si reca a Roma «per vedere la Chiesa primitiva»(Eusebio, VI, 14, 10), incontrandosi, probabilmente, con il dotto presbitero Ippolito.
Dopo aver diretto la Scuola catechetica per 28 anni, Origene viene accusato di aver ricevuto la consacrazione sacerdotale in forma non canonica e, probabilmente, di aver assecondato dottrine eterodosse, e per iniziativa del vescovo Demetrio di Alessandria, in due sinodi del 231-232 privato della dignità sacerdotale e bandito dalla città. Si reca, quindi, a Cesarea, in Palestina, dove non è riconosciuta la sentenza di condanna, fondandovi un'altra scuola teologica e predicando al popolo.
Chiamato ad Antiochia, verso il 232, dall'imperatrice Giulia Mamea, favorevole alla religione cristiana, si reca successivamente nell'Arabia, dove combatte l'eresia del patripassianismo.
Durante la persecuzione di Decio, nel 250, ormai anziano, vecchio Origene viene incarcerato e torturato, ma sopportando tutto eroicamente. Muore poco tempo dopo a Cesarea o a Tiro.
Uomo di brillante ingegno, Origene è considerato il più grande dotto e lo scrittore teologico di gran lunga più fecondo dell'epoca pre-nicena, e perciò soprannominato Adamantino e di bronzo massiccio. È il teologo di maggior influsso nella Chiesa greca ed il più grande di tutta la Chiesa per l'epoca precedente Agostino di Ippona.
Dopo la sua morte Origene è stato ancora combattuto e condannato come eretico, prima dall'imperatore Giustiniano e poi dal Sinodo di Costantinopoli (anno 553).
Solo successivamente gli è stata resa una maggiore giustizia.
L'attività letteraria di Origene abbraccia quasi tutti i rami della Scienza ecclesiastica. Maggiore spazio è occupato dagli studi esegetici. Della sua attività letteraria ci sono pervenute anche molte omelie. Della sua grande opera di critica testuale, l'Esapla, sono rimasti numerosi frammenti. Di non minore importanza sono le opere di apologetica e di dogmatica: gli otto libri «Contra Celsum» del 248, e l'opera De principiis (dei principi dell'esistenza).
Alla teologica pratica ed all'ascetica appartengono, infine, il Trattato «De Oratione» sulla preghiera in generale, più un commento al Padre nostro, e la «Exhortatio ad Martyrium», scritta nell'anno 235, durante la persecuzione di Massimino Trace (Cfr. K. Bihlmeyer - H. Tuechle, Storia della Chiesa, 1-L'antichità cristiana, Ed. Morcelliana, 1973, 223ss.).
Omelia VIII: II parte
Isacco figura del Cristo
6. Dopo ciò, Abrahamo prese la legna per l'olocausto, vi pose sopra Isacco suo figlio, e prese nelle sue mani il fuoco e la spada, e si avviarono insieme (Gen 22, 6). Per il fatto che Isacco si porta lui stesso la legna per l'olocausto, è figura del Cristo che si portò lui stesso la croce (Gv 19, 17); e tuttavia portare la legna per l'olocausto è compito del sacerdote; diviene cosi insieme vittima e sacerdote. Ma anche l'aggiunta: E si avviarono tutti e due insieme , si riferisce a ciò: infatti, mentre Abrahamo, che si accingeva a sacrificare, portava il fuoco e il coltello, Isacco non va dietro a lui, ma con lui, affinché appaia che egli, con lui, parimenti funge da sacerdote. Cosa avviene dopo questo? Isacco disse ad Abrahamo suo padre: Padre (Gen 22, 7). In questo momento la voce che proviene dal figlio è una tentazione. Infatti come pensi che il figlio, che doveva essere immolato, abbia scosso le viscere paterne con questa voce? E benché Abrahamo fosse così inflessibile in grazia della fede, tuttavia anch'egli ricambiò una parola d'affetto e disse: Cosa c'è, figlio? E lui: Ecco il fuoco e la legna, ma dov'è la pecora per l'olocausto? (Gen 22, 7). Abrahamo rispose: Dio stesso si provvederà la pecora per l'olocausto, figlio (Gen 22, 8). Mi commuove la risposta di Abrahamo, così attenta e cauta; non so quel che vedeva in spirito, perché non riguardo al presente, ma al futuro dice: Dio stesso si provvederà la pecora : al figlio che gli domanda del presente, risponde le cose future. Infatti il Signore stesso si provvederà la pecora nel Cristo, poiché anche la sapienza stessa si è edificata una casa (Pv 9, 1), ed egli ha umiliato se stesso fino alla morte (Fil 2, 8); e troverai che tutto quello che leggi del Cristo, è stato fatto non di necessità, ma liberamente.
Costanza nel proposito
7. Proseguirono dunque entrambi, e giunsero al luogo che Dio gli aveva detto (Gen 22, 8-9). A Mosè, giunto al luogo che il Signore gli aveva mostrato, non è consentito di salire, ma prima gli viene detto: Sciogli il legaccio dei calzari dai tuoi piedi (Es 3, 5); ad Abrahamo ed Isacco non è detto nulla di simile, ma salgono, e non depongono i calzari. In ciò, forse, il motivo è che Mosè, benché fosse grande (Es 11, 3), tuttavia veniva dall'Egitto, e vi erano alcuni legami di mortalità annodati ai suoi piedi; invece Abrahamo e Isacco non hanno nulla di ciò, ma giungono al luogo. Abrahamo edifica l'altare, pone sopra l'altare la legna, lega il fanciullo, si prepara a scannare (cf Gen 22, 9-10). Siete in molti, nella Chiesa di Dio, che ascoltate queste cose e siete padri. Pensate che qualcuno dì voi, dalla narrazione stessa del fatto acquisti tanta costanza e forza d'animo, che, se per caso perde un figlio per la morte comune e che spetta a tutti, anche se è unico, anche se è amato, prenda come esempio Abrahamo, e si ponga davanti agli occhi la sua grandezza d'animo? Eppure da te non si richiede questa grandezza d'animo, da legare proprio tu il figlio, da forzarlo tu stesso, da essere tu a preparare la spada, da scannare tu l'unico figlio. Non ti sono domandati tutti questi servizi. Sii almeno costante nel proposito e nell'animo: saldo nella fede offri lieto il figlio a Dio; sii sacerdote della vita del tuo figlio; giacché non conviene piangere al sacerdote che immola a Dio. Vuoi vedere che questo ti è richiesto? Dice il Signore nel Vangelo: Se foste figli di Abrahamo, certo fareste le opere di Abrahamo (Gv 8, 39). Ecco, questa è l'opera di Abrahamo. Fate le opere che ha fatto Abrahamo, ma non con tristezza, giacché Dio ama chi dà con gioia (2 Cor 9, 7). Che se anche voi sarete tanto pronti per Dio, anche a voi si dirà: Sali a una terra elevata e al monte che io ti mostrerò; e là offrimi il tuo figlio (Gen 22, 2). Non nelle profondità della terra, non nella valle del pianto (Sal 84, 7), ma nei monti alti ed eccelsi offri il tuo figlio. Mostra che la fede in Dio è più forte degli affetti della carne. Infatti Abrahamo amava Isacco suo figlio, ma all'amore della carne antepose l'amore di Dio, e fu trovato non nelle viscere della carne, ma nelle viscere di Cristo (Fil 1, 8), cioè nelle viscere del Verbo di Dio, della verità, della sapienza.
Non risparmiò il proprio figlio
8. Dice: E Abrahamo stese la sua mano, per prendere la spada, e scannare il suo figlio. E l'angelo del Signore lo chiamò dal cielo, e disse: Abrahamo, Abrahamo. Ed egli disse: Eccomi. E disse: Non mettere la tua mano sopra il fanciullo, e non fargli niente [di male]. Ora infatti so che tu temi Dio (Gen 22, 10-12). Riguardo a questo discorso ci si obietta di solito che Dio dice che ora sa che Abrahamo teme Dio, come se prima lo avesse ignorato. Dio lo sapeva, e non gli era nascosto, in quanto è colui che conosce tutte le cose prima che siano (Dn 13, 42), ma per te sono state scritte, poiché anche tu, certo, hai creduto a Dio, ma se non compirai le opere della fede (cf 2 Ts 1, 11), se non sarai obbediente in tutti i comandamenti, anche i più difficili, se non offrirai il sacrificio e non mostrerai che non preferisci a Dio né il padre, né la madre, né i figli (cf Mt 10, 37), non si riconoscerà che temi Dio, e non si dirà di te: Poiché ora so che tu temi Dio(Gen 22, 12). Dobbiamo poi considerare che si riferisce che un angelo dice queste cose ad Abrahamo, e che nel seguito questo angelo appare chiaramente come il Signore . Per cui ritengo che, come fra noi uomini fu trovato nel sembiante come uomo (Fil 2, 7), così anche fra gli angeli sia stato trovato nel sembiante come angelo. E, seguendo il suo esempio, gli angeli nel cielo si rallegrano per un solo peccatore che faccia penitenza (Lc 15, 10), e si gloriano dei progressi degli uomini. Essi hanno come l'incarico delle nostre anime, e a loro, mentre ancora siamo piccoli, siamo affidati come a tutori e amministratori fino al tempo stabilito dal padre (cf Gal 4, 3-2). Dunque, essi stessi, ora, riguardo al progresso di ciascuno di noi dicono: Ora so che tu temi Dio. Per esempio, se ho il proposito del martirio, non per questo l'angelo mi potrà dire: Ora so che tu temi Dio; poiché il proposito dell'anima è noto solo a Dio. Ma se accederò ai combattimenti, proferirò la bella confessione (1 Tm 6, 12), sosterrò senza vacillare tutte le prove che mi verranno inflitte, allora l'angelo, come per confermarmi e darmi forza, potrà dire: Ora so che tu temi Dio. Ma in verità queste cose sono state dette ad Abrahamo, ed è stato proclamato che egli teme Dio. Perché? Perché non ha risparmiato il suo figlio. E noi ora rapportiamo questo alle parole dell'Apostolo, ove dice di Dio: Egli che non risparmiò il proprio Figlio, ma lo consegnò per noi tutti (Rm 8, 32). Vedi che Dio lotta con gli uomini con magnifica liberalità: Abrahamo offri a Dio un figlio mortale, che non sarebbe morto; Dio, per gli uomini, consegnò alla morte il Figlio immortale.
Che diremo noi di fronte a queste cose? Che cosa renderemo al Signore, per tutto quello che egli ci ha donato (cf Sal 116, 12)?
Iddio Padre, per noi, non risparmiò il proprio Figlio . Secondo te, chi di voi udrà una buona volta la voce dell'angelo che dice: Ora so che tu temi Dio, poiché non hai risparmiato il tuo figlio , la tua figlia, o la tua moglie, o non hai risparmiato il denaro, o gli onori del secolo e le ambizioni del mondo, ma hai disprezzato tutto, e tutto hai stimato come sterco, per guadagnare Cristo (Fil 3, 8), hai venduto tutto, e l'hai dato ai poveri e hai seguito la parola di Dio (cf Mt 19, 21)? Secondo te, chi di voi udrà dall'angelo parole di tal genere? Intanto, Abrahamo ode questa voce e gli viene detto: Poiché non hai risparmiato il tuo figlio diletto per me.
Cristo patisce nella carne
9. E volgendosi indietro a guardare, Abrahamo vide coi suoi occhi, ed ecco un ariete era impigliato per le corna in un roveto (Gen 22, 13). Abbiamo detto, mi pare, in precedenza, che Isacco era figura del Cristo, ma qui anche l'ariete sembra altrettanto figura del Cristo; vale la pena di conoscere come l'uno e l'altro convengano al Cristo, sia Isacco, che non è stato sgozzato, sia l'ariete, che è stato sgozzato. Il Cristo è il Verbo di Dio, ma il Verbo si è fatto carne (Ap 19, 13; Gv 1, 14): per un aspetto, dunque, il Cristo è dall'alto, per un altro è assunto dall'umana natura e dall'utero verginale. Infatti il Cristo patisce, ma nella carne; e ha sopportato la morte, ma nella carne, di cui è figura l'ariete; come diceva anche Giovanni: Ecco l'agnello di Dio, ecco colui che prende il peccato del mondo (Gv 1, 29). Quanto al Verbo, rimase nella incorruzione (cf 1 Cor 15, 42), e questo è il Cristo secondo lo Spirito, di cui è immagine Isacco: perciò egli stesso è vittima e sacerdote. Infatti secondo lo Spirito offre la vittima al Padre, secondo la carne egli stesso viene offerto sull'altare della croce, poiché, come è stato detto di lui: Ecco l'agnello di Dio, ecco colui che prende il peccato del mondo (Gv 1, 29), così è stato detto di lui: Tu sei sacerdote in eterno secondo l'ordine di Melchisedec (Sal 110, 4). Dunque l'ariete è impigliato per le corna in un cespuglio (Gen 22, 13).
Il Signore ha veduto
10. Dice: E prese l'ariete, e l'offri in olocausto al posto di Isacco suo figlio, e Abrahamo chiamò il nome di quel luogo: Il Signore ha veduto (Gen 22, 13-14). Per chi sa ascoltare queste cose, si spalanca con evidenza la via dell'intelligenza spirituale; infatti, tutte le cose che si sono compiute giungono alla visione; giacché è detto che il Signore ha veduto. La visione, poi, che il Signore ha veduto, è nello spirito, affinché anche tu veda in spirito queste cose che sono state scritte, e, come in Dio nulla è corporeo, così anche tu non intenda nulla di corporeo in tutte queste cose, ma generi anche tu nello spirito il figlio Isacco, quando incomincerai ad avere il frutto dello spirito, la gioia, la pace (Gal 5, 22). Questo figlio, tuttavia, allora soltanto lo genererai, se, come è stato scritto di Sara che erano cessati a Sara i corsi delle donne (Gen 18, 11), e allora generò Isacco, parimenti anche nella tua anima cessi ciò che è femminile, così che tu non abbia più nella tua anima nulla di muliebre e di effeminato, ma ti comporti virilmente (cf Dt 31, 6), e virilmente cinga i tuoi fianchi, se il tuo petto sarà difeso dalla corazza della giustizia, se ti rivestirai dell'elmo della salvezza e della spada dello spirito (cf Ef 6, 14. 17). Se dunque verrà meno ciò che è femminile nella tua anima, genererai dalla tua moglie - la virtù e la sapienza -, un figlio: la gioia e la pace. Generi poi la gioia, se tutto stimerai gioia, quando ti imbatterai in varie tentazioni (Gc 1, 2), e offrirai questa gioia in sacrificio a Dio; e quando ti avvicinerai lieto a Dio, ti renderà nuovamente quello che avrai offerto, e ti dirà: Di nuovo mi vedrete, e gioirà il vostro cuore, e nessuno vi toglierà la vostra gioia (cf Gv 16, 22. 17). Così dunque riceverai moltiplicato quel che avrai offerto a Dio. Qualcosa di simile, anche se sotto altra figura, è riportato negli Evangeli, quando è detto in parabola che un tale ricevette una mina, per trafficarla e guadagnare il denaro per il padre di famiglia (cf Lc 19, 12 ss. e Mt 25, 14 ss.); ma se tu ne porterai cinque moltiplicate in dieci, saranno donate e concesse proprio a te. Senti infatti quel che dice: Prendete a questi la mina, e datela a quello che ne ha dieci (Lc 19, 24). Così dunque sembra che traffichiamo per il Signore, ma i guadagni del commercio sono ceduti a noi; e sembra che offriamo vittime al Signore, ma esse sono ridonate a noi che offriamo. Dio infatti non ha bisogno di nessuno, ma vuole che noi siamo ricchi, desidera il nostro profitto in ogni cosa. Questa figura ci è mostrata anche in quel che si è compiuto per Giobbe: anch'egli infatti, essendo ricco, perdette tutto per Dio. Ma poiché sopportò bene i combattimenti della pazienza, e fu magnanimo in tutto quello che patì, e disse: Il Signore ha dato, il Signore ha tolto; come è piaciuto al Signore, cosi è accaduto, sia benedetto il Nome del Signore (Gb 1, 21), vedi, alla fine, ciò che si scrive di lui: Ricevette il doppio di tutto quello che aveva perduto (Gb 42, 10). Vedi cosa vuol dire perdere qualcosa per Dio? Riceverla per te moltiplicata. Ma a te, gli Evangeli promettono qualcosa di più abbondante: ti offrono il centuplo, e per di più la vita eterna (cf Mt 19, 29 e par.) in Gesù Cristo nostro Signore, al quale è la gloria e il dominio nei secoli dei secoli. Amen (1 Pt 4, 11).
Fonte:
http://www.monasterovirtuale.it/origene.html