Gesù di fronte ai peccatori
Nel mondo Biblico il peccato appare come una deviazione dal retto rapporto dell’uomo con con Dio, un venir meno all’alleanza che lega Israele a Dio (Peccato, in Dizionario enciclopedico della Bibbia e del mondo Biblico, Ed. Massimo - Milano, pag. 572).
Mentre nell’Antico Testamento si conservano tracce della concezione del peccato propria delle altre religioni, come di una trasgressione, a volte addirittura involontaria, di una norma o di un divieto, quasi una invasione nella sfera del divino, il Nuovo Testamento, quello scaturito dall’evento cristiano, pur riprendendo le linee di riflessione dell’A.T., ferma la sua attenzione soprattutto su Gesù, il Salvatore (Peccato, in Dizionario enciclopedico della Bibbia e del mondo Biblico, Ed. Massimo - Milano, pag. 573).
Nei Vangeli Sinottici, vale a dire: Marco, Matteo e Luca, e nel quarto vangelo, quello redatto da Giovanni, traluce insistentemente l’attenzione premurosa di Gesù verso i peccatori. Il quarto vangelo, inoltre, riproponendo il dualismo luce-tenebre, assai caro alla comunità religiosa di Qumran vicino al mar morto, rende manifesta la vittoria di Gesù sul peccato.
Pius-Ramon Tragan sostiene che, sebbene sia impossibile ricostruire una biografia di Gesù, partendo unicamente dal materiale sinottico, il contenuto dei quattro vangeli è storicamente e teologicamente significativo. In questo senso: i Vangeli sinottici sono utili soprattutto perché presentano un’interpretazione della persona di Gesù legata a una cornice storica (Pius-Ramon Tragan, La preistoria dei Vangeli, tradizione cristiana primitiva, Ed. Servitium, pag. 85).
Noi partiamo dai Vangeli per risalire ad un altro aspetto peculiare dei sentimenti e dell’azione missionaria di Gesù: la sua bontà verso i peccatori. “Ed entrò di nuovo a Cafarnao dopo alcuni giorni. Si seppe che era in casa e si radunarono tante persone, da non esserci più posto neanche davanti alla porta, ed egli annunziava loro la parola. Si recarono da lui con un paralitico portato da quattro persone. Non potendo però portarglielo innanzi, a causa della folla, scoperchiarono il tetto nel punto dov’egli si trovava e, fatta un’apertura, calarono il lettuccio su cui giaceva il paralitico. Gesù, vista la loro fede, disse al paralitico: «Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati». Seduti là erano alcuni scribi che pensavano in cuor loro: «Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può rimettere i peccati se non Dio solo?». Ma Gesù, avendo subito conosciuto nel suo spirito che così pensavano tra sé, disse loro: «Perché pensate così nei vostri cuori? Che cosa è più facile: dire al paralitico: Ti sono rimessi i peccati, o dire: Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina? Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati, ti ordino disse al paralitico alzati, prendi il tuo lettuccio e và a casa tua». Quegli si alzò, prese il suo lettuccio e se ne andò in presenza di tutti e tutti si meravigliarono e lodavano Dio dicendo: «Non abbiamo mai visto nulla di simile!» (Mc 2,1-12).
Il brano appena presentato è significativo sia per il contenuto, che per l’autenticità storica. E’ riportato nel Vangelo di Marco, che è il più arcaico dei quattro vangeli e può appartenere alle fonti scritte più vicine al Gesù terreno. Inoltre il brano di Marco è riportato anche nei vangeli di Matteo (Mt 9,14-17) e Luca (Lc 5,33-39) e quindi, con la referenza della triplice attestazione.
Ma per verificare l’attendibilità storica del brano evangelico, non c’è solo il criterio della molteplice attestazione. C’è quello della discontinuità, nel senso che l’espressione di Gesù: “Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati”, con i suoi annessi e connessi, non si può attribuire né al pensiero, né alle abitudini, né alle tendenze dell’ambiente giudaico (Per la formulazione di questo principio, cf. H. Conzelmann, Jesus, in 3/RGG III, pag. 623. In (Pius-Ramon Tragan, La preistoria dei Vangeli, tradizione cristiana primitiva, Ed. Servitium, pag. 86) ed è quindi sicuramente un’espressione risalente al Gesù storico.
Considerata la concordanza tra questi due criteri e l’autorevolezza della fonte scritta, dietro la quale c’è un testimone oculare dell’episodio, l’apostolo Pietro, si giunge, quindi, all’oggettivo riconoscimento della storicità dell’episodio. Tutto questo attribuisce, ovviamente, una grande importanza al brano evangelico. E allora, andando direttamente alla riflessione di questo brano, appare evidente che tutti coloro che sono presenti alla scena di cui stiamo parlando, si aspettano in primo luogo un miracolo dal Maestro. Ma lui guarda innanzi tutto ad un’altra realtà che travalica la sanità fisica, e dicendo: “Figliolo, ti sono rimessi i peccati”, intende esprimere ciò che è profondamente connaturale con la sua missione e che rivela, quindi il potere di rimettere di peccati. Gli ebrei e soprattutto gli scribi, i dottori della Legge, sanno che questo potere appartiene a Dio stesso. Ecco perché sono scandalizzati sentendo Gesù che afferma di togliere i peccati al paralitico, anche se in questo contesto lo fa in maniera impersonale. Ma il Gesù storico è consapevole di avere questo potere di rimettere i peccati e conseguentemente di operare miracoli e lo manifesta apertamente agli scribi, pur sapendo di andare incontro al rifiuto ed addirittura all’ostilità.
La stessa guarigione del paralitico non solo contesta le pratiche religiose del tempo, ma giustifica la pretesa di Gesù in materia di perdono dei peccati e lo presenta come colui che è molto più di un semplice taumaturgo (Cfr. Ch. Perrot, J.-L. Souletie, X. Thévenot, I MIRACOLI, fatti storici o genere letterario?, Ed. San Paolo, pag. 93).
"Uscì di nuovo lungo il mare; tutta la folla veniva a lui ed egli li ammaestrava. Nel passare, vide Levi, il figlio di Alfeo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Egli, alzatosi, lo seguì. Mentre Gesù stava a mensa in casa di lui, molti pubblicani e peccatori si misero a mensa insieme con Gesù e i suoi discepoli; erano molti infatti quelli che lo seguivano. Allora gli scribi della setta dei farisei, vedendolo mangiare con i peccatori e i pubblicani, dicevano ai suoi discepoli: «Come mai egli mangia e beve in compagnia dei pubblicani e dei peccatori?» Avendo udito questo, Gesù disse loro: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; non sono venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori»(Mc 2,13-17. Cfr Mt 9,10-13; Lc 5,29-32) Questo è un altro episodio evangelico al quale la triplice narrazione, da parte degli evangelisti Marco, Matteo e Luca, conferisce un valido fondamento storico, comprovato anche dal fatto che il mangiare con i peccatori ed i pubblicani non è pensabile per un rabbino, nè per un profeta, titoli entrambi attribuiti a Gesù.
Date le circostanze, alla luce di quanto esposto, ci domandiamo qual è il volto storico di Gesù che emerge da questi brani evangelici di fondata credibilità razionale? E’ un Gesù che si svela nemico dichiarato del male e del peccato e, nel contempo, premuroso verso i peccatori, riconoscendo ad essi un attitudine ad accogliere l’appello alla conversione e perciò a ricevere la grazia della giustificazione”(Lc 15,7.10; 18,9-14). In questo senso i peccatori sono i veri clienti del regno annunciato da lui. Per cui non è tanto il peccato in sé che costituisce un ostacolo alla salvezza, ma l’ostinazione nel rifiutare l’invito divino alla conversione (S. Virgulin, Peccato, in Nuovo Dizionario di Teologia Biblica, Ed. Paoline, 1131). Del resto, sia Marco che gli altri due evangelisti sinottici, Matteo e Luca, “attestano che le comunità Apostoliche, proprio nel rapporto coi peccatori, riconoscono in Gesù lo straordinario uomo capace di amare in un modo inedito ed inaudito, e la presenza operante di Dio nella remissione dei peccati”(Luciano Pacomio, Gesù ama i peccatori, in Storia di Gesù, vol. 1, Ed. Rizzoli, 796).