Le Parabole
Il termine parabola, dal greco parabolé, che significa similitudine, accostamento, deriva a sua volta dall'ebraico mashal ed è un genere di similitudine suggerita da fatti della vita, a cui si paragona la realtà che si vuole illustrare.
Pur non essendone stato Gesù l'inventore, "l'abbondanza dell'uso di parabole da lui fatto e il modo di servirsene costituiscono qualcosa di unico nella storia della letteratura universale" (Carlo Ghidelli, Gesù insegna in parabole, in Storia di Gesù, ed. Rizzoli, vol. 2, p. 625).
Perché Gesù ricorre all'uso abbondante delle parabole nella predicazione? Ci sono molte risposte da parte degli studiosi. Secondo alcuni, parlando in parabole, Gesù vuole preparare gradualmente i suoi ascoltatori alla sua dottrina, senza così ferire, con una luce troppo viva, intelligenze non ancora sufficientemente preparate. Insomma Gesù può aver ideate direttamente le parabole "con l'intenzione di illuminare il carattere di estrema novità, talvolta anche paradossale, del suo messaggio" (Carlo Ghidelli, Gesù insegna in parabole, in Storia di Gesù, ed. Rizzoli, vol. 2, p. 631).
Quindi alla luce di questi racconti ispirati all'ambiente stesso nel quale Gesù si trova a predicare: il lago, la campagna, la pesca, il campo coltivato, il monte, etc., egli vuole insegnare, ai suoi discepoli e ascoltatori, che credere in Lui comporta scelte radicali e totali (cfr Luca 16); che il suo annunzio di salvezza non è solo rivolto agli ebrei, ma ha ormai una portata ed una dimensione universale (Cfr Luca 14,23); che finalmente è venuto a rivelare il volto vero, unico, misericordioso, definitivo di Dio, diverso dal Dio severo concepito da tanti ebrei.
In definitiva i suoi ascoltatori devono soprattutto rendersi conto che con la sua presenza in mezzo a loro, la proposta di salvezza da parte di Dio assume un particolare tono di drammaticità, evidenziata dalle parabole del servo infedele (Cfr. Luca 12) e del fico sterile (Cfr. Luca 13).
Infine, i suoi ascoltatori sono tenuti a prendere posizione di fronte a questo insegnamento. Ciò significa assumere la responsabilità dell'accettazione o del rifiuto di Gesù stesso, come traspare dalle parabole del giudizio escatologico (Cfr. Luca 18 e 19)(Per tutto questo cfr. Carlo Ghidelli, Gesù insegna in parabole, in Storia di Gesù, ed. Rizzoli, vol. 2, p. 631-633).
A questo punto ci chiediamo: le parabole sono originarie di Gesù? E quale ritratto del Maestro emerge attraverso di esse?
Alla prima domanda possiamo rispondere con certezza che le parabole presenti nei racconti evangelici provengono sostanzialmente dalla voce stessa e dalla predicazione del Cristo. Perché sostanzialmente? Perché essendo, in origine, proclamate in aramaico, sono state poi, tradotte in greco, la lingua dei vangeli e, come sostiene Carlo Buzzetti, "inevitabilmente, ogni traduzione è anche interpretazione e quindi può comportare alcuni slittamenti di significato. Per questo quando si cerca di ricostruire il testo originale aramaico di una parabola, si possono scoprire caratteristiche...presenti sulla bocca di Gesù e che non si ritrovano più nella penna di un evangelista (per esempio alcuni giochi di parole, allitterazioni, cioè ripetizione dei medesimi suoni, etc) (Carlo Buzzetti, Le parabole da Gesù agli evangelisti, in Storia di Gesù ed. Rizzoli, vol. 2, pag. 656). Questo dimostra che, malgrado siano giunte fino a noi in greco, le parabole hanno un substrato originale aramaico e quindi risalgono a Gesù. L'uditorio che fa da sfondo alle parabole non è più quello Palestinese, ma del mondo ellenistico. Quindi a volte è avvenuto, nello sfondo geografico della parabola, un cambiamento di immagini. Ne è esempio il granellino di senape piantato nel campo (Mt 13,31), come scrive Matteo, nel Vangelo di Luca è invece seminato nell'orto(Lc 13,19). Poiché la tradizione palestinese proibisce di seminare la senape nell'orto, è evidente che Luca ha modificato l'originale, senza ovviamente cambiare il contenuto della parabola. Per testimoniare questi cambiamenti di forma, ma non di sostanza, ascoltiamo ora una celebre parabola, quella del seminatore, attestata da tutti e tre i vangeli sinottici (Mt 13,3-9; Mc 4,3-9; Lc 8,5-8). Noi riportiamo qui la versione di Marco che è la più antica: " «Ecco, uscì il seminatore a seminare. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada e vennero gli uccelli e la divorarono. Un'altra cadde fra i sassi, dove non c'era molta terra, e subito spuntò perché non c'era un terreno profondo; ma quando si levò il sole, restò bruciata e, non avendo radice, si seccò. Un'altra cadde tra le spine; le spine crebbero, la soffocarono e non diede frutto. E un'altra cadde sulla terra buona, diede frutto che venne su e crebbe, e rese ora il trenta, ora il sessanta e ora il cento per uno». E diceva: «Chi ha orecchi per intendere intenda!»"(Mc 4,3-9). Ecco la figura del seminatore che getta il seme sul terreno; ma solo una parte di questo seme trova il terreno adatto per germinare: dove il 30, dove il 60, dove il 100 per uno. Il resto è bruciato dal sole, soffocato dalle spine, o cade sulla nuda strada, dove è destinato ad essere mangiato dagli uccelli. Nell'intenzione originaria di Gesù che, si rivolge ad un uditorio nel quale ci sono anche quelli che non accolgono il suo messaggio, c'è la persuasione, e questo lo vuol far capire ai suoi avversari ed agli stessi discepoli, che il suo annuncio di salvezza, pur essendo ora accompagnato da insuccessi, incomprensioni, calunnie, è destinato a fermentare ed a maturare in una messe abbondante. E' quanto dice, ad esempio, Pius-Ramon Tragan: "La parabola del seminatore esprime anche la volontà del Maestro di rassicurare i discepoli davanti alla mancanza di successo della sua parola e del suo insegnamento" (Pius-Ramon Tragan, La preistoria dei Vangeli, ed. Servitium, Sotto il Monte (Bg), p. 77). Nella elaborazione scritta, avvenuta qualche decennio dopo alla predicazione orale, è chiaro che l'uditorio al quale sono rivolti gli evangelisti, non è più quello palestinese dei tempi Gesù. Sono passati anni da quella primitiva predicazione ed il Vangelo è ormai annunciato a tutte le genti. E allora la parabola indica un'altra realtà che si è sostituita alla prima e che tuttavia ne rispecchia il senso. Il seminatore non è più Gesù ma uno che semina la parola di Dio, quindi un predicatore del Vangelo (Cfr. Carlo Buzzetti, Le parabole da Gesù agli evangelisti, in Storia di Gesù ed. Rizzoli, vol. 2, pag. 657), mentre i vari tipi di terreno non raffigurano più le difficoltà e gli insuccessi che si frappongono all'azione di Gesù, ma "un certo tipo di cristiani: gli incostanti, quelli che si impauriscono per le persecuzioni, quelli che si lasciano assorbire dalle cose di questo mondo" (V. Fusco, Parabola/Parabole, in Nuovo Dizionario di Teologia Biblica, ed. Paoline, pag. 1082).
Alla seconda domanda che ci siamo posti, relativa al volto del Gesù che traspare dalle parabole, noi crediamo che non è solo il Gesù dei miracoli e dei Segni, dell'autorità-exousía e del fascino straordinario che emana da lui, come abbiamo visto altrove, ma è anche il Gesù che, nelle parole e nei gesti, è circondato da ostacoli e fallimenti di vario tipo, da controversie e da incomprensioni. E' il Gesù debole, fragile nel quale è tuttavia presente il Dio che salva. E' il Gesù che frequenta i peccatori per portare a tutti la salvezza, senza alcuna preclusione e non pone diaframmi tra sé e l'uomo di ogni idea e cultura. Si fa quasi fatica a intravedere, in questo predicatore ambulante di Palestina, il Dio che salva. Eppure, guardando in filigrana attraverso alcune parabole sintomatiche, si intravede il Mistero di Dio presente in questo uomo di Galilea.
Nella parabola dei vignaioli omicidi, pronunciata sicuramente verso la fine della sua vita terrena, allorché davanti ai suoi occhi si prospetta l'ombra cupa del Calvario, Gesù appare e si manifesta come Figlio dell'uomo e Figlio del Padre, rifiutato dagli uomini (Cfr. Giuseppe Segalla, le parabole rivelano il mistero di Gesù, in Storia di Gesù, ed. Rizzoli, vol. 2, p. 652): "Gesù si mise a parlare loro in parabole: «Un uomo piantò una vigna, vi pose attorno una siepe, scavò un torchio, costruì una torre, poi la diede in affitto a dei vignaioli e se ne andò lontano. A suo tempo inviò un servo a ritirare da quei vignaioli i frutti della vigna. Ma essi, afferratolo, lo bastonarono e lo rimandarono a mani vuote. Inviò loro di nuovo un altro servo: anche quello lo picchiarono sulla testa e lo coprirono di insulti. Ne inviò ancora un altro, e questo lo uccisero; e di molti altri, che egli ancora mandò, alcuni li bastonarono, altri li uccisero. Aveva ancora uno, il figlio prediletto: lo inviò loro per ultimo, dicendo: Avranno rispetto per mio figlio! Ma quei vignaioli dissero tra di loro: Questi è l'erede; su, uccidiamolo e l'eredità sarà nostra. E afferratolo, lo uccisero e lo gettarono fuori della vigna. Che cosa farà dunque il padrone della vigna? Verrà e sterminerà quei vignaioli e darà la vigna ad altri. Non avete forse letto questa Scrittura: La pietra che i costruttori hanno scartata è diventata testata d'angolo; dal Signore è stato fatto questo ed è mirabile agli occhi nostri»? Allora cercarono di catturarlo, ma ebbero paura della folla; avevano capito infatti che aveva detto quella parabola contro di loro. E, lasciatolo, se ne andarono" (Mc 12,1-12; cfr. Mt 21,33-39; Lc 20,9-5).