Gesu di nazareth

Via, Verità, e Vita

Chi è Gesù per te?

Gesù per me è


 Vai alla pagina 


Altri siti web

Il Paradiso

La Casa del Padre


   Nel Vangelo di Giovanni Gesù dice ai suoi amici: “Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve l'avrei detto.    Io vado a prepararvi un posto; quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io”(Gv 14,1-3)


 Il Paradiso 




Padre Pio

da

Pietrelcina


Una delle più grandi anime mistiche della Cristianità


 Padre Pio 


Questo sito web è curato da Donato Calabrese, storico di Padre Pio da Pietrelcina 




Telebene

la Televisione

Spirituale


 TELEBENE 


Torna alla


HOME PAGE

















San Leone Magno (? - 461)

   Il primo posto tra i papi del 5° secolo è tenuto da Leone I Magno, un romano autentico, di nobile carattere, pieno di dignità e di energia. Basti pensare all’importanza capitale del suo incontro con Attila, re degli Unni, avvenuto nei pressi di Mantova, che spinse lo stesso re a prendere la via dei ritorno, o col re dei Vandali, Genserico, il quale, in seguito alle sue rimo­stranze, rinunziò almeno a mettere a ferro e fuoco la città di Roma.

   Leone era pienamente convinto che il vescovo di Roma come «Vicario di Pietro», in cui si perpetuano l’autorità e i poteri del Principe degli Apostoli, ha il diritto e il dovere di guidare la Chiesa universale. Egli afferma che gli altri vescovi sono chia­mati soltanto a collaborare col papa nella cura pastorale, ma non possiedono la pienezza del potere. Il pensiero dell’episcopato universale del papa fu da lui non solo affermato teoricamente, ma egli seppe anche tradurlo attivamente in pratica in tutta la Chiesa come nessun altro dei suoi predecessori.

   Nella sua predica per la festa dei santi Pietro e Paolo, Leone contrappose con grande efficacia la Pax christiana emanante dalla Roma cristiana e dalla cattedra di Pietro, all’antica Pax romana, che si reggeva esclusivamente sulla forza delle armi.

   In Oriente lo tennero impegnato specialmente le lotte monofisite, nelle quali intervenne segnando con la famosa lettera dogmatica al patriarca Flaviano la via da seguire, e poi la minacciosa rivalità del patriarcato di Costantinopoli.

   Proprio di fronte all'eresia monofisita, che minacciava la fede della Chiesa nel mistero dell'Incarnazione, Leone cercò in ogni modo di mantenere salda e integra la fede, difendendo strenuamente la teologia cristologica che affermava essere presente, nella persona di Gesù, sia la vera umanità, contro Nestorio, sia la vera divinità, contro Eutiche.

   La sua ferma presa di posizione venne ratificata dal Concilio di Calcedonia: “Pietro ha parlato per bocca di Leone”, esclamarono solennemente i Padri conciliari.

   In Occidente dovette occuparsi delle soperchierie dell’arcivescovo Ilario di Aries, monaco di Lerino, il quale, preso da frenetico zelo per la disciplina ecclesiastica, cercava di trasformare il suo episcopato in una specie di patriarcato indipendente della Gallia meridionale. Leone lo privò non solo del vicariato apostolico, ma anche dei suoi poteri metropolitani e lo costrinse così a sottomettersi. In questa contingenza fu sostenuto da un rescritto dell’imperatore Valentiniano III col quale si vietava a chiunque in Occidente d’intraprendere azioni contro l’autorità della Sede romana, poiché la pace delle chiese sarebbe stata garantita in ogni luogo quando tutte avessero riconosciuto il loro capo. Si riconosceva pertanto il primato giurisdizionale della Chiesa su tutto l’Occidente, anche se dapprincipio l’attuazione pratica fu assai limitata. 

   Come dottore della Chiesa Leone è apprezzato per le sue numerose lettere, che trattano con prudenza ed equilibrio questioni di fede e di disciplina, e per le sue prediche piene di slancio e di solennità(Cfr. K. Bihlmeyer - H. Tuechle, Storia della Chiesa, 1-L'antichità cristiana, Ed. Morcelliana, 1973, 331s.) .    


   Dalle « Lettere » di san Leone Magno, papa (Lett.28 a Flaviano, 3-4; PL 54, 763-767)

   Il mistero della nostra riconciliazione

   “Dalla Maestà divina fu assunta l'umiltà della nostra natura, dalla forza la debolezza, da colui che è eterno, la nostra mortalità; e per pagare il debito che gravava sulla nostra condizione, la natura impassibile fu unita alla nostra natura passibile. Tutta questo avvenne perché, come era conveniente per la nostra salvezza, il solo e unico mediatore tra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù, immune dalla morte per un verso, fosse, per l'altro, ad essa soggetto. Vera, integra e perfetta fu la natura nella quale è nato Dio, ma nel medesimo tempo vera e perfetta la natura divina nella quale rimane immutabilmente. In lui c'è tutto della sua divinità e tutto della nostra umanità. Per nostra natura intendiamo quella creata da Dio al principio e assunta, per essere redenta, dal Verbo. Nessuna traccia invece vi fu nel Salvatore di quelle malvagità che il seduttore portò nel mondo e che furono accolte dall'uomo sedotto. Volle addossarsi certo la nostra debolezza, ma non essere partecipe delle nostre colpe. Assunse la condizione di schiavo, ma senza la contaminazione del peccato. Sublimò l'umanità, ma non sminuì la divinità. Il suo annientamento rese visibile l'invisibile e mortale il creatore e il signore di tutte le cose. Ma il suo fu piuttosto un abbassarsi misericordioso verso la nostra miseria, che una perdita della sua potestà e del suo dominio. Fu creatore dell'uomo nella condizione divina e uomo nella condizione di schiavo. Questo fu l'unico e medesimo Salvatore. Il Figlio di Dio fa dunque il suo ingresso in mezzo alle miserie di questo mondo, scendendo dal suo trono celeste, senza lasciare la gloria del Padre. Entra in una condizione nuova, nasce in un modo nuovo. Entra in una condizione nuova: infatti invisibile in se stesso si rende visibile nella nostra natura; infinito, si lascia circoscrivere; esistente prima di tutti i tempi, comincia a vivere nel tempo; padrone e signore dell'universo, nasconde la sua infinita maestà, prende la forma di servo; impassibile e immortale, in quanto Dio, non sdegna di farsi uomo passibile e soggetto alle leggi della morte. Colui infatti che è vero Dio, è anche vero uomo. Non vi è nulla di fittizio in questa unità, perché sussistono e l'umiltà della natura umana, e, la sublimità della natura divina. Dio non subisce mutazione per la sua misericordia, così l'uomo non viene alterato per la dignità ricevuta. Ognuna delle nature opera in comunione con l'altra tutto ciò che le è proprio. Il Verbo opera ciò che spetta al Verbo, e l'umanità esegue ciò che è proprio della umanità. La prima di queste nature risplende per i miracoli che compie, l'altra soggiace agli oltraggi che subisce. E, come il Verbo non rinunzia a quella gloria che possiede in tutto uguale al Padre, così l'umanità non abbandona la natura propria della specie. Non ci stancheremo di ripeterlo: L'unico e il medesimo è veramente Figlio di Dio e veramente figlio dell'uomo. È Dio, perché « In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio » (Gv 1, 1). È uomo, perché: « il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi » (Gv 1, 14)”.